I riferimenti normativi

L’archivio annesso alla Biblioteca Statale di Montevergine ha sede nel settecentesco palazzo abbaziale di Loreto, nella cittadina di Mercogliano, a soli sei chilometri da Avellino. La sua origine è antica e si confonde con quella dell’abbazia; il suo primo fondo è costituito proprio da quei documenti che dimostrano giuridicamente la fondazione del complesso avvenuta ad opera di san Guglielmo da Vercelli nel secolo XII. I monaci custodirono nella casa madre di Montevergine tutti gli incartamenti a loro pervenuti per varie ragioni e pensarono ben presto ad un locale adibito esclusivamente ad archivio, al quale dedicarono grandi cure. In esso confluì tutta la documentazione delle case dipendenti che pian piano si vennero costituendo, anche perché le disposizioni dei capitoli della congregazione virginiana obbligarono i priori dei vari monasteri a depositare nella cosiddetta “cascia delle scritture” tutti gli incartamenti (strumenti notarili, registri di amministrazione, introiti ed esiti, etc.) e a redigere gli inventari di tutti i loro beni mobili e stabili.

La documentazione archivistica fu studiata ampiamente già nel secolo XV, quando fu redatto il cosiddetto Vecchio Inventario, un indice alfabetico topografico, con descrizione ridotta all’essenziale, composto da un autore anonimo. Esso rappresenta un notevole tentativo di sistemazione archivistica del materiale verginiano data la mole degli incartamenti considerati, che ammontano all’incirca a 4000.

All’inizio del secolo XVIII il padre Gaetano Giannuzzi fu il primo a sistemare la parte pergamenacea dell’archivio compilando due grossi registri manoscritti; nonostante l’accurata sistematicità del lavoro, rimaneva fuori da tale ordinamento il vastissimo materiale cartaceo. Il fondo più importante era custodito al santuario, ma c’era anche quello della casa di Loreto e degli archivi delle case dipendenti. Successivamente l’importante costituzione Maxima Vigilantia del papa Benedetto XIII lasciò un’impronta particolare nella storia degli archivi: essa stabiliva norme precise per la custodia dei documenti delle chiese, dei monasteri, dei collegi e di qualsiasi altro istituto regolare. Per ciò che riguarda Montevergine il pontefice diede disposizioni minute, annunciate già precedentemente nelle sue visite apostoliche al Santuario: l’archivio doveva essere affidato ad archivisti capaci e scrupolosi nel seguire le disposizioni pontificie, ma anche nel redigere cataloghi ed inventari.

1750
Alla luce di queste ulteriori norme si pensò ad un nuovo ordinamento archivistico; fu il padre Carlo Maria Cangiani ad occuparsene nel 1750. Egli distribuì tutto il materiale archivistico, seguendo un ordinamento topografico-cronologico, in 140 volumi, corredati da 4 grossi volumi manoscritti di indici. Tra il 1750 ed il 1763, l’abate Letizia fece trasportare l’archivio da Montevergine al palazzo di Loreto dopo aver chiesto, con valide motivazioni, tra cui quella non trascurabile dell’inclemenza del clima montano, l’autorizzazione al papa Clemente XIII. La sala ad esso destinata, opportunamente decorata con motivi allegorici e scaffalature in radica di olivo, fu ben presto occupata da tutto il materiale proveniente dalla casa madre e da ciò che si conservava nel vecchio palazzo di Loreto sfuggito al terremoto del 1732.

1807
Successivamente, nel 1807, con la soppressione degli ordini religiosi del Regno di Napoli, gli archivi di Montecassino, Cava e Montevergine, riconosciuti giuridicamente sotto la denominazione di Stabilimenti Ecclesiastici, furono affidati alla guida di un direttore, coadiuvato da 25 religiosi, e ne fu aumentata la dotazione organica poiché considerati di particolare interesse per le arti, le scienze e la storia del regno. A Montevergine si procedette alla nomina del primo direttore nella persona dell’abate Raimondo Morales, il quale prese formalmente possesso del monastero e di tutti i fabbricati annessi alla casa di Loreto.

1818
Con il ritorno dei Borboni e l’abolizione delle leggi eversive francesi, il re Ferdinando IV, nel novembre del 1818, emanò la legge organica degli archivi del Regno, nella quale gli archivi delle abbazie di Montecassino, di Cava dei Tirreni e di Montevergine furono dichiarati sezioni del Grande Archivio di Napoli, sotto la direzione di un vice-archivario, coadiuvato da un inserviente. I verginiani si rallegrarono del nuovo assetto archivistico e, soprattutto per merito dell’archivista Guglielmo De Cesare, mantennero rapporti di reciproca comprensione e fiducia col soprintendente Angelo Granito di Belmonte.

1860
Il 7 settembre del 1860 Giuseppe Garibaldi entrò trionfalmente a Napoli e qualche mese più tardi emise il decreto luogotenenziale per la soppressione delle corporazioni religiose. Gli esecutori di tale provvedimento non tennero però conto che ciò era in contrasto con la legislazione ancora in vigore ed ordinarono il trasporto al grande Archivio di Stato di Napoli di alcuni codici e di tutto il patrimonio archivistico regestato dal padre Cangiani. Passarono ben 64 anni prima che quelle carte potessero essere riscattate e ritornare, nell’agosto del 1926, nella bellissima sala settecentesca del palazzo di Loreto.

1866
La legge del 7 luglio 1866 estese a tutto il territorio dell’Italia le disposizioni per la soppressione delle corporazioni religiose, ma stabilì che sarebbe stato provveduto da parte del governo alla conservazione degli stabilimenti ecclesiastici distinti per la monumentale importanza, mettendo la relativa spesa a carico del Fondo per il culto.

I nuovi stabilimenti ecclesiastici presero il nome di Monumenti Nazionali, affidati al controllo del ministro della Pubblica Istruzione, nelle cui competenze rientrava la nomina del soprintendente o conservatore, di due custodi e di cinque inservienti, scelti tra gli ex religiosi che abitavano quel luogo. In particolare l’articolo 33 chiariva anche quali erano gli istituti gestiti direttamente dallo Stato: le biblioteche delle Badie di Montecassino, Cava dei Tirreni e poi successivamente, nel 1882, l’abbazia di Montevergine, l’Oratorio dei Gerolamini, l’abbazia di Praglia, la Certosa di Trisulti, il monastero di Santa Scolastica, l’abbazia di Grottaferrata, e quella di Casamari. Successivamente furono dichiarati Monumenti Nazionali anche l’abbazia di Farfa e quella di Santa Giustina.

1867
Nell’agosto del 1867, su proposta del ministro della Pubblica Istruzione, fu abolito l’ufficio del vice-archivario e di conseguenza le sezioni staccate dell’Archivio di Stato di Napoli, con la specifica motivazione che, nel quadro della nuova legislazione, la custodia era inglobata nelle mani del soprintendente di nomina ministeriale. Di conseguenza nella legislazione archivistica post-unitaria non si fa alcuna menzione degli archivi di Montecassino, Cava dei Tirreni e Montevergine, mentre il patrimonio in essi contenuto venne fatto rientrare nella dicitura di beni culturali conservati nelle Biblioteche annesse ai Monumenti Nazionali. Da allora in poi l’archivio storico di Montevergine diviene di fatto una sezione della Biblioteca Statale annessa al Monumento Nazionale di Montevergine.

1907
Tali istituti vengono riconosciuti per la prima volta nel regolamento organico del 1907 quali biblioteche pubbliche governative. Nel 1967 vennero elencate e la stessa lista è presente nel regolamento tuttora in vigore, del 5 luglio del 1995, che ne specifica il funzionamento. La custodia di tali biblioteche, sin dalle origini, venne assegnata ai religiosi degli ordini monastici originariamente proprietari; lo Stato ha garantito negli anni alle biblioteche annesse ai monumenti nazionali finanziamenti per la manutenzione, il restauro, l’acquisto di attrezzature di ogni tipo. Per quanto riguarda poi il personale della Biblioteca Statale di Montevergine con archivio storico annesso, già nel 1975, con la nascita del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, si decise di assegnare alle Biblioteche annesse ai Monumenti Nazionali un contributo annuale per le spese del personale sulla base delle effettive esigenze. (Precedentemente, padre Placido Mario Tropeano, direttore della Biblioteca Statale di Montevergine fino al 2008, anno della sua scomparsa, attraverso quella che definiva una “fictio iuris”, aveva fatto pervenire un certo numero di personale distaccato dall’Archivio di Stato di Napoli, appellandosi alla sopravvivenza della legge borbonica che era stata soppressa).

1980
La norma che regolamentò i rapporti tra il Ministero e tali biblioteche fu la legge 2 dicembre del 1980, n. 803; essa stabilì la stipula di una convenzione biennale che definiva le norme per le varie unità di personale, con relativo compenso ed oneri contributivi previdenziali ed assistenziali, gli obblighi di servizio, gli orari di apertura, senza però assegnare alle biblioteche stesse uno specifico organico.

1993
Con la legge del 1993 n. 320 venne poi aumentato il contributo annuo per le Biblioteche annesse ai monumenti nazionali e si stabiliva che ad esse potesse essere assegnato personale dipendente dal Ministero per i Beni Culturali in posizione di distacco. Si definivano meglio i compiti del Conservatore del Monumento Nazionale che assumeva il ruolo di funzionario delegato, obbligato a rendicontare le somme ricevute ai sensi delle norme della contabilità di stato. Acquisiva l’obbligo della custodia dei locali e dei beni contenuti e poteva nominare il direttore che avrebbe assunto tale incarico a titolo onorifico e gratuito. Con la riforma del ministro Franceschini del 2014, molte Biblioteche annesse ai Monumenti Nazionali sono state aggregate al polo museale del Lazio o al polo regionale della Campania.

La Biblioteca Statale di Montevergine, insieme a quelle di Santa Giustina di Padova, di Praglia, della Badia della santissima Trinità di Cava dei Tirreni, hanno mantenuto la propria autonomia e dipendono dalla Direzione Generale delle Biblioteche. Le biblioteche annesse ai monumenti nazionali non hanno avuto fino al 2016 un proprio organico effettivo anche se sono state incluse nelle recenti procedure di mobilità ministeriale. Ciò ha dato modo al personale in servizio presso di esse, distaccato o assegnato ad altri istituti, di rientrare nel numero previsto di assegnazione e di stabilizzarsi.

L’archivio storico annesso alla Biblioteca Statale di Montevergine si può considerare suddiviso, per quanto riguarda la sua documentazione, in quattro grosse sezioni: pergamenacea, storica dell’abbazia, dei monasteri dipendenti, degli archivi aggregati. Le pergamene, in numero di 7000, sono sistemate cronologicamente dal 947 al 1952; tra esse spiccano bolle, privilegi e brevi pontifici, diplomi, esenzioni imperiali e reali; la parte più numerosa è costituita da strumenti di donazioni, compravendite, enfiteusi, che documentano non solo la storia dell’abbazia e delle sue dipendenze, ma dell’intero Mezzogiorno d’Italia. Particolarmente importanti per Montevergine le prime pergamene, come la numero 153 del 1126, che attesta il riconoscimento dell’autonomia dell’abbazia, o lo scriptum publicum del 22 settembre del 1298 dal quale pende un sigillo cereo che riproduce i tratti iconografici della Madonna di Montevergine, venerata da più di sette secoli e il cui culto non si è mai interrotto.

Degna di rilievo per il suo interesse paleografico ed iconografico è la pergamena del 1210, nota come Statuto dell’abate Donato. È illustrata con figure disegnate a penna con qualche punta di rosso: al centro è raffigurato il Redentore, a sinistra l’abate Donato, in alto la Vergine tra due angeli. La documentazione storica cartacea è distribuita in più di mille faldoni che esplicitano i molteplici aspetti del patrimonio, amministrazione, disciplina, culto, affari giudiziari dell’abbazia dal secolo XVI al XIX. Ivi si riscontrano le monumentali platee che fissano attraverso la documentazione notarile la consistenza patrimoniale di Montevergine; particolari la n. 2 e la n. 4 eseguite dall’agrimensore beneventano Bartolomeo Cocca per l’originalità dei disegni e per i colori usati che mettono in maggiore evidenza le rappresentazioni grafiche. Bellissime anche le piante della montagna di Montevergine, del santuario e delle località adiacenti; esse definiscono con minuzia estrema la reale estensione dei possedimenti verginiani. La terza sezione dell’archivio riguarda il materiale cartaceo dei monasteri dipendenti dalla casa madre di Montevergine. Tali possedimenti non erano solo in Campania, ma anche nel Lazio, in Puglia, in Basilicata, nel Molise e persino in Sicilia. In essa è presente la documentazione cartacea di soli 62 monasteri; non sono tutte le dipendenze virginiane, che erano molte di più, ma solo quelle sopravvissute dopo il secolo XV di sui si sono conservati gli incartamenti. Un notevole incartamento riguarda la chiesa di San Giovanni Battista e la rispettiva congrega, sita in Avellino; essa fu donata ai verginiani dalla contessa Maria Cardona a metà del secolo XVI. È presente anche una bella pianta del prospetto anteriore della Chiesa con annesso monastero che ci fa conoscere con esattezza il loro stato nel 1710.

I fondi degli archivi aggregati hanno sempre costituito una sezione a sé stante poiché non hanno alcun nesso con l’abbazia. La parte più numerosa dei documenti si riferisce a molti istituti religiosi soppressi nel 1807, come Domenicani, Francescani, Agostiniani, Carmelitani, Celestini i cui beni furono assegnati a Montevergine quando fu necessario provvedere alla dotazione economica dei monaci assegnati allo stabilimento. Essi vanno dal secolo XVI al XIX e riguardano l’amministrazione ed il patrimonio, con numerosissimi libri d’introito ed esito, strumenti notarili dei possedimenti, testamenti, contratti di fitto di case, terreni, grossi libri-campione che contengono tutti i crediti e le rendite dei monasteri annotati dagli stessi religiosi. Particolari le carte relative al culto con i libri delle messe e dei divini offici, delle sagrestie e dei consigli, curiose quelle che annotano i vari medicamenti di cui si servono i religiosi e le religiose. Oltre ai monasteri soppressi in questa sezione è presente la documentazione di alcuni archivi privati come quelli delle famiglie Imbimbo, Ricca, Caracciolo di Torella dei Lombardi, Colonna, Scala, De La Ville etc. In questi ultimi anni si sta provvedendo alla sistemazione di fondi versati periodicamente in archivio dagli uffici del monastero o pervenuti tramite donazione o acquisto. La documentazione riguardante la congregazione virginiana e le sue relazioni con il mondo esterno nei secoli XIX – XX è molto vasta. La cospicua parte relativa ai lavori ci informa sulla costruzione della strada rotabile e della funicolare. La prima fu iniziata solo a metà del secolo XIX; precedentemente i pellegrini percorrevano le tre mulattiere montane ancora oggi esistenti. Ci volle circa un secolo per portarla a termine poiché varie furono le vicissitudini intercorse, essendo lunga e dispendiosa. In tali fondi ha trovato sistemazione la sezione dei paesi e delle famiglie e casate irpine; la busta n. 2 contiene gli atti di fondazione degli ospedali della città di Avellino, preziosi inventari delle chiese di Altavilla Irpina, di Chianche. Vasta è la documentazione riguardante Gesualdo con i suoi monasteri, i luoghi pii, le famiglie presenti. Un cenno meritano alcuni incartamenti non ancora inventariati, come quelli degli autografi, del Monte di Pietà di Avellino annesso alla confraternita di Santa Maria di Costantinopoli.