Riflessioni sulle biblioteche

Date:
20 Aprile 2022

Sacelli o sarcofagi di cultura?

(di Giuseppe Macchia)

Aprirei questa pagina con la richiesta di aiuto del Direttore della Biblioteca di Brera James Bradburne (che soprintende anche alla celebre pinacoteca) raccolta da Fabio Isman e pubblicata sul numero di marzo di Arte e Dossier, e che faccio mia, per aggiungere il punto di vista di chi ogni giorno vive questa realtà, seppure da un osservatorio molto differente, in quanto dipendente della Biblioteca Statale annessa al Monumento Nazionale di Montevergine: «Le biblioteche nazionali sono a rischio: siamo stati abbandonati, perché fuori dalla logica del turismo, che invece ha trainato il resto della cultura».
La grande riduzione di personale, cominciata nelle biblioteche e negli archivi statali e comunali a partire dai primi anni del 2000 per i pensionamenti, che hanno determinato un’emorragia mai arrestata, oggi ci consegna una situazione a dir poco drammatica, con numeri che sono da guerra e non da paese che si definisce civile o si fregia di aver sparsi sul proprio territorio il più grande numero di beni culturali al mondo. Nel 2016 in tutta Italia (!) il personale in servizio contava 779 bibliotecari, oggi sono circa 310. Tra le maggiori biblioteche italiane, la Biblioteca Nazionale di Napoli (riportiamo i dati di Isman), nel 2015 contava 250 dipendenti, oggi ridotti a 80. La Biblioteca Nazionale Braidense di Milano nel 2005 contava 145 dipendenti, oggi appena 33 di cui solo 2 bibliotecari. Non va meglio alla Marciana di Venezia, alla Nazionale di Roma e di Firenze. Ci sono poi situazioni ancora peggiori dove il passaggio dal sacello al sarcofago della cultura è già avvenuto e siamo oltre il
rigor mortis, ne sono una testimonianza la Biblioteca universitaria di Pisa, chiusa dal 2012, la Biblioteca comunale romana “Andrea Rispoli”, ospitata nel palazzo Doria Pamphilj, che per mancanza di manutenzione, dopo l’interruzione del sistema di riscaldamento, ha cessato la sua attività. Sul territorio italiano sono tante le situazioni simili di biblioteche comunali e provinciali che hanno esalato l’ultimo respiro, come la Biblioteca Pasquale Albino di Campobasso che, con la soppressione delle province a seguito della riforma del governo Renzi, è stata chiusa con un danno enorme per tutto il bacino universitario molisano. Vorrei far notare che risparmiare uno stipendio non significa aiutare a migliorare lo stato di efficienza dello Stato, ma si traduce in mancanza di servizi per gli italiani, significa riduzione dell’orario di apertura al pubblico, peggioramento della qualità della vita, che con la lettura ha molto a che fare. La pandemia ci ha dato il termometro della situazione in Italia, con i medici chiamati eroi di “giorno” e crocefissi di notte: costretti a turni massacranti e a denunciare a volto coperto il disagio, per non essere riconosciuti e subire ripercussioni come ad alcuni è successo. La mancanza di personale sanitario, di attrezzature mediche (non solo anti-Covid), sono il risultato di tagli indiscriminati alla spesa pubblica fatti in un passato ben noto da molti politici che oggi, rientrati dalla finestra, si autocelebrano come appartenenti al “governo dei migliori”.
I pochi dipendenti interni delle biblioteche fanno il lavoro che prima faceva il doppio o il triplo del personale, altre volte i dipendenti interni mancano e il loro lavoro è svolto da volontari.
Durante la pandemia, la nostra biblioteca così come le altre su tutto il territorio nazionale, ha continuato a garantire i servizi in presenza e da remoto, non venendo mai meno al suo compito istituzionale, soddisfacendo le richieste degli utenti, combattendo in prima linea con chi ci apostrofava come troppo “zelanti” solo perché applicavamo le norme anti-Covid secondo le direttive ministeriali, e con chi aveva deciso di non vaccinarsi e ci accusava di essere fautori di norme anticostituzionali.
Allora mi viene da porre una domanda: ma le biblioteche in Italia servono oppure sono inutili? Siamo dei fannulloni in quanto dipendenti statali come amava definirci un politico di non tantissimi anni fa?
Rispondo con la “più grande indagine realizzata in Italia sull’impatto della biblioteca nella vita delle persone”, come la definisce l’autrice Chiara Faggiolani, apparsa sul numero di aprile 2021 di “Biblioteche oggi”.
Alla domanda posta alle migliaia di persone intervistate dalla Faggiolani: “Che cosa è per te la tua biblioteca?” emerge un quadro chiarissimo: per milioni di italiani (e per i dipendenti tra cui chi scrive sul ruolo delle biblioteche) essa è «Un luogo di cultura e socialità. Un luogo di speranza per il futuro … é un’opportunità per me e miei figli … Anzitutto è un simbolo della mia città, perché è anche un monumento di interesse storico, un presidio di cultura …», e aggiungerei presidio di legalità.
Ma perché queste cose sono chiare a milioni di italiani, ai direttori di questi “sacelli” e non al ministro?
Qual è la soluzione da adottare? Dobbiamo snaturarci e trasformarci in altro per rientrare nel circuito del turismo?
Ci farebbe piacere ricevere una risposta, forse siamo degli utopisti chiedendo che questi nostri luoghi di lavoro vengano visitati dal ministro? Magari avere una risposta per conoscere il nostro prossimo futuro, avere qualche parola di approvazione, veder risolto qualche problema gioverebbe molto anche all’umore.
Ma forse sono io che quel bicchiere lo vedo mezzo vuoto e mi sento avvilito, poiché queste cose le diciamo da tanti anni, forse è il ministro che dovrebbe parlare con noi, visto che ci ergiamo ormai a mezzo busto dal sarcofago della cultura.

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Le biblioteche, queste sconosciute

(di Domenico D. De Falco) *

In questa rubrica ho chiesto ospitalità (cortesemente concessa dalla curatrice del sito web della Biblioteca di Montevergine) per condividere qualche riflessione (che rispecchia solo il mio pensiero) sull’istituzione biblioteca, prendendo lo spunto da alcuni recenti tentativi di rivitalizzare biblioteche presenti nella nostra città. L’impressione è che la biblioteca patisca ancora un deficit di conoscenza e di consapevolezza e questo, se da un lato sta a significare anche che essa viene percepita come un luogo confortevole e sicuro, nonché l’ideale contenitore per una serie infinita di attività in favore della comunità, al tempo stesso ne tradisce la disattenta considerazione, o comunque una percezione distorta che comunemente si ha di essa, non corrispondente alla realtà.
In una spericolata sintesi, la biblioteca dovrebbe essere prima di ogni altra cosa il luogo fisico in cui vengono custoditi i libri (che sono stati acquistati con fondi pubblici, ovvero sono stati ricevuti per dono, per scambio, per diritto di stampa…), dei quali i bibliotecari hanno redatto una scheda (non seguendo il proprio estro ma uniformandosi a regole di catalogazione internazionali, perciò riconoscibili ovunque) e che pertanto divengono patrimonio comune a disposizione di ognuno. Questi stessi libri devono ricevere le attenzioni necessarie, devono cioè essere collocati in stanze e sale idonee, devono poter avere delle cure periodiche (spolveratura, legatoria, restauro), perché sono a disposizione degli utenti locali (coloro che risiedono nelle vicinanze della biblioteca) così come di utenti di altre città che possono essi stessi consultare un libro attraverso il formidabile strumento del prestito interbibliotecario. La biblioteca inoltre dovrebbe riuscire a sottoscrivere e confermare nel tempo l’abbonamento alle riviste, cercando quando possibile (cioè: se ci sono i soldi) di avere il quotidiano locale (quello che viene letto ogni mattina dal pensionato) ma anche la rivista specializzata (quella che viene richiesta dallo studioso o dal ricercatore). Dagli articoli e dai saggi contenuti in quotidiani e riviste periodiche la biblioteca dovrebbe essere in grado di trarre agevolmente e velocemente delle scansioni in formato digitale, da poter servire le richieste di quegli utenti impossibilitati a recarsi di persona in biblioteca. Si tratta di una organizzazione davvero minima, che dovrebbe essere un punto fermo di ogni istituzione bibliotecaria.
Dopo di che, nella biblioteca così strutturata si può pensare a tante altre attività, quali pure in diverse parti d’Italia e del mondo già si praticano: si può cioè pensare al bar, in cui l’utente entra per sorbire un caffè mentre legge il quotidiano, si può pensare a corsi periodici di yoga, di lingua per immigrati, di doposcuola per scolari e studenti, di preparazione al parto per future mamme…, tutte attività che – ripeto – già si svolgono in non poche biblioteche, anche italiane. Si può perfino pensare di organizzare un dibattito pubblico durante il quale ciascuno può, in un esercizio di retorica e di fantasia, riferire cosa rappresenta la biblioteca nel suo immaginario personale: un presidio di civiltà, di aggregazione, di legalità, un luogo dell’anima in cui recarsi per rinfrancare lo spirito, il luogo destinato ad ospitare le esposizioni di materiale proprio o proveniente da altre istituzioni e altre città, il contenitore di dibattiti, convegni, giornate di studio. Tutte queste cose, e tantissime altre, è sicuramente una biblioteca, a patto che sia stata già strutturata come scritto sopra e che sia costantemente custodita e presidiata, resa fruibile nella maniera più ampia possibile, ma con metodo e nel rispetto della tutela del patrimonio che vi è conservato.
È chiaro che perché questo scenario possa concretizzarsi occorre adoperarsi affinché alle biblioteche sia assegnato il personale nel numero congruo ad assicurare la conservazione, la tutela e la valorizzazione del materiale posseduto. Quindi, innanzitutto i bibliotecari, che sono i professionisti dell’informazione, sui quali ricade il compito delicato della precisa e coerente descrizione dei libri, che se non correttamente lavorati sono destinati fatalmente all’oblio, con grave detrimento a carico degli autori e degli editori; questo per dire che bibliotecari non ci si improvvisa, ma lo si diventa solo a seguito di un rigoroso corso di studio e di formazione professionale. Inoltre, bisogna che la biblioteca disponga del personale di custodia, che si occupi anche della presa e dalla ricollocazione dei volumi e infine che siano assicurate le figure intermedie, quelle che garantiscono il funzionamento della macchina amministrativa che, indipendentemente dalle dimensioni della biblioteca, è sempre articolato e complesso.
Insomma, bisognerebbe smetterla di sottovalutare la biblioteca nella presunzione che si tratti di un servizio al quale ciascuno si può dedicare.
In Italia esistono biblioteche che dipendono dallo Stato, dalle regioni, dalle provincie, dai comuni, dalle diocesi, dalle università, biblioteche scolastiche, biblioteche private… Per avere un’idea dei numeri censiti è sufficiente consultare l’Anagrafe delle Biblioteche Italiane, qui
Anagrafe delle Biblioteche Italiane Home (sbn.it). A carico di tutte queste diverse tipologie di biblioteca pesa di più la colpevole miopia di chi è chiamato ad assumere decisioni importanti ovvero a formulare un indirizzo di gestione, e in minor misura la pur grave mancanza di risorse economiche. Le biblioteche dello Stato dipendono dal Ministero della Cultura: appare decisamente strano che non si colgano per lo meno le opportunità che potrebbe portare con sé l’applicazione del PNRR, a meno che esista un piano grandioso di sostegno e rilancio di biblioteche e archivi che prima o poi sarà svelato. Le biblioteche che dipendono dalle amministrazioni locali invece patiscono una situazione che molto dipende da dove esse si trovano: per fare qualche esempio, le biblioteche di regioni italiane quali Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana riescono ad offrire uno spettro di servizi molto più ampio di quelle delle regioni centro-meridionali, nei cui organici molto spesso non esiste neanche la figura del bibliotecario, ma si continua a parlare di un generico “addetto”.
Se non è possibile perseguire nemmeno una parvenza di normalità nel mondo delle biblioteche, allora che si chiudano quelle alle quali non si è assegnato il personale, né i fondi, per il loro funzionamento, che diventino dei depositi librari o dei “musei dei libri”, visitabili solo su prenotazione, ma non fruibili come vere biblioteche e si concentrino le scarse risorse (economiche e di personale) su poche biblioteche di riferimento per il territorio. A quel punto, sì che si può pensare anche di affidare la cura dei “musei dei libri” ai benemeriti volontari delle tante associazioni esistenti ovunque che svolgono una funzione importante di stimolo verso le amministrazioni pubbliche – alle quali spetta la responsabilità della gestione dei servizi ai cittadini (archivi, biblioteche, consultori, ospedali, scuole, trasporti…) – ma che ovviamente non possono improvvisarsi bibliotecari.
Allo stesso tempo, è sempre possibile una seppur minima progettualità, redatta – a titolo gratuito da bibliotecari liberi da impegni lavorativi – con lo scopo di farsi bastare quel poco che si ha, ma le amministrazioni dovrebbero non sottrarsi ai propri compiti: in questo modo sarebbe appagato il senso civico dei tanti volontari di supporto il cui prezioso aiuto avrebbe infine una connotazione concreta, libera dal rischio pur sempre in agguato di rimanere invischiati in un diluvio di chiacchiere inconcludenti.

*Già bibliotecario statale: semel bibliothecarius, semper bibliothecarius