Un’incisione a bulino su seta

Date:
30 Giugno 2021

(di Paola de Conciliis)

In uno dei libri antichi in corso di catalogazione in biblioteca è stato ritrovato un oggetto a prima vista singolare, per gli occhi dei bibliotecari moderni, sicuramente non immediatamente riconducibile ad una categoria di materiale contemplata dalle guide e manuali in uso. Si tratta di un’incisione a bulino su seta, che raffigura i protagonisti di un’iconografia mariana molto famosa, la “Madonna della Consolazione”, tra i santi Agostino e Monica, che, come si sa, erano madre e figlio. Madonna_della_Consolazione2Il pezzo di stoffa riporta insieme al titolo dell’immagine il nome dello stampatore, Filippo Spano, forse in questo caso autore del disegno stesso inciso, attivo a Napoli, dove aveva la bottega in via S. Biagio dei Librai n. 20, nella prima metà del XIX secolo. La sua attività sembra dedicata, da una scorsa alle poche notizie bibliografiche a lui legate in SBN, alla produzione di stampe di carattere devozionale, anche se non manca di trovarsi associato ad altri stampatori per la produzione di libri, ed in particolare un foglio presente sul mercato, inciso da Luigi Aloja, artista napoletano attivo tra il 1783 e il 1837, riporta la sua responsabilità come editore.
L’oggetto riemerso da un volume della sala H di Montevergine, molto raro come si può appurare da una veloce ricerca sul web, di chiaro carattere devozionale, doveva essere usato più come uno scapolare che come una sorta di segnalibro o antiporta calcografica, come ci è giunto. A nostro avviso può essere considerato una variante tarda dei frammenti di stoffa di colore rosa o verde che venivano benedetti e dati alle spose o alle madri in attesa, in quanto figure della reliquia della Cintola della Vergine. L’iconografia della Consolata, che si afferma nei santuari mariani dell’ordine agostiniano, rimanda infatti a quella della Madonna della Cintola. Secondo la tradizione della confraternita agostiniana dei cinturati, la Vergine implorata da santa Monica, le avrebbe mostrato il suo abito nero penitenziale dopo la morte di san Giuseppe e la crocifissione, con la lunga cintura di cui le fa simbolicamente dono.
La tradizione dei vangeli apocrifi giunge invece al medioevo italiano, quando un mercante pratese, Michele Dagomari, di ritorno da Gerusalemme con la sua sposa Maria, porta, insieme alla dote di questa, la reliquia della cintola, ereditata dalla famiglia di lei, discendente dal sacerdote a cui san Tommaso, ricevutala dalla Vergine stessa dopo la sua Assunzione per confortare la sua fede, l’avrebbe donata. La sacra reliquia fu poi consegnata al vescovo di Prato, fu oggetto di un importante culto pubblico e di furti e recuperi avventurosi durante le guerre tra Prato e le altre città toscane, ed è tuttora custodita nel duomo della città. Una delle più antiche trasposizioni figurative della leggenda è il polittico di Bernardo Daddi, degli anni Trenta del Trecento, di cui resta solo la predella al museo civico di Prato, mentre più famosa è l’iconografia della Madonna della Cintola nella pala di Benozzo Gozzoli, del 1450, alla Pinacoteca Vaticana, proveniente dalla chiesa di S. Fortunato a Montefalco.