Una nuova etica pedagogica per l’emergenza educativa

Date:
18 Ottobre 2013

Riceviamo e volentieri pubblichiamo il testo della prolusione pronunciata da Mirella Napodano in occasione della presentazione del volume Attualità del pensiero di Jacques Maritain nella sfida educativa del postmoderno, di Concetta Coppola, tenutasi martedì 8 ottobre 2013 presso la Biblioteca di Montevergine

 

Una nuova etica pedagogica per l’emergenza educativa

(di Mirella Napodano)

Nel testo Attualità del pensiero di Jacques Maritain nella sfida educativa del postmoderno, Concetta Coppola rintraccia le radici dell’attuale emergenza educativa in una distorta visione antropologica e nella dominanteCoppola_Attualita spersonalizzazione della società, in cui si dibattono le fondamentali istituzioni educative, famiglia e scuola, ciascuna con le ben note peculiarità che le caratterizzano.

Siamo ad un giro di boa o, se volete, stiamo svoltando l’angolo. Lo sguardo si volge spontaneamente al passato prossimo prima di spaziare nelle incertezze del futuro, che per certi versi è un futuro anteriore o – se vi piace – un futuro INTERIORE, perché ognuno lo colora delle proprie personali aspettative.

Non dirò dell’attuale crisi delle istituzioni educative, che Maritain non ha certo conosciuto, anche se forse preconizzato, in particolare nel suo ultimo libro: Le paysan de la Garonne. Un vecchio laico si interroga sul mondo presente (1966). Lavoro denso che approfondisce temi impegnativi: il rapporto con il mondo e quello con i non cristiani; le vie dell’intelligenza e del rinnovamento del sapere; la dimensione del Regno di Dio e dell’ecclesiologia. Ed è interessante osservare, a distanza di cinquant’anni e nonostante il corso degli eventi, la lucidità con cui riuscì ad intravvedere le fatiche che si profilavano all’orizzonte, con cui il nostro tempo attualmente si misura. Alle generazioni più giovani ‘Il contadino della Garonna’ potrebbe sembrare poco più che un romanzo bucolico, ma il sottotitolo annuncia, e annunciava fragorosamente allora,  all’indomani della chiusura del Concilio Vaticano II, un intervento a tutto campo ed in tutta franchezza di un pensatore consapevolmente entrato nella bella stagione dei bilanci: Un vecchi laico si interroga sui tempi presenti. Si tratta di un lavoro che all’epoca suscitò reazioni contrastanti, ma che – riletto oggi – dopo quasi cinquant’anni da quegli eventi, rivela di quale capacità di penetrazione nei processi intellettuali e culturali fosse capace Maritain.

Proprio  nelle pagine de Le paysan de la Garonne viene anche ripresa una riflessione avviata quasi due decenni prima, in un clima di guerra fredda sempre più palese, sul tema del pluralismo, della tolleranza e della cooperazione tra famiglie spirituali diverse tra loro per provenienza e tradizione. Nel 1947 Maritain tenne un famoso discorso alla Conferenza dell’Unesco di Città del Messico, da cui poi sarebbe emersa, di lì a poco, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: in quell’occasione il filosofo, rappresentante della delegazione francese, tracciò un quadro teorico per discutere della possibilità di cooperazione in un mondo diviso, argomentando a favore di una dichiarazione in difesa dell’uomo in cui tutti potessero riconoscersi. Il discorso divenne un saggio, pubblicato nel 1960, in una raccolta emblematicamente intitolata Le philosophe dans la cité.

La posizione di Maritain è ancor oggi istruttiva, come bene evidenzia Concetta Coppola nel suo lavoro: un’identità forte non costituisce  mai un ostacolo alla cooperazione, mentre sono le identità incerte a cadere ben presto vittime della paura, disertando il dialogo e ricorrendo alla violenza per affermarsi. Maritain invitava a pensare che il dialogo è possibile solo quando gli uomini – e non le culture o le civiltà, perché sono le persone in carne ed ossa e non i sistemi di pensiero a dialogare – sono innanzitutto interessati a comprendersi a vicenda e a condividere le proprie persuasioni (identità) nella ricerca del senso dell’esistenza umana. Il dialogo non ha quindi come scopo quello di sortire una sintesi teorica in cui ciascuno si senta a proprio agio – Maritain invitava a diffidare dei sincretismi – né d’altra parte di dichiarare vinti e vincitori in vista di un’omologazione dei secondi ai primi: il dialogo ha come fine l’incontro tra persone, come ben sottolinea la Coppola, tra persone che riflettono sui medesimi problemi a partire da differenti prospettive. La reciproca fiducia che può nascere da questo tipo di incontro è poi il terreno su cui sarò possibile  costruire percorsi civili condivisi, ovvero le buone pratiche in grado di promuovere l’umano. Forse è proprio della reciproca fiducia – presupposto del dialogo – che oggi si avverte maggiormente la mancanza: anche in questa direzione la pagina maritainiana più sollecitare il pensiero filosofico e la meditazione cattolica.

Maritain moriva solo e povero il 28 aprile 1973, associato ai Piccoli Fratelli di Charles de Foucault a Tolosa, conquistato dalla loro esperienza di contemplazione; povero, lui che proveniva da una famiglia benestante e che era stato ambasciatore della Francia  presso la Santa Sede dal 1944 al 1948 su espressa richiesta di De Gaulle; solo, dopo una vita faticosa trascorsa all’unisono con la moglie Raissa Oumançooff con la quale fino al 1960 – anno in cui fu vinta dalla malattia – condivise passo dopo passo un’esistenza profondamente segnata dalla ricerca della verità nella fedeltà alla Chiesa ed alla sua tradizione.

Davvero un grande pensatore, grande per l’esemplarità nel tenere unite le vie della riflessione filosofica a quelle della vita e della cultura, ma grande anche secondo quel profilo che lo fa additare a maestro nell’arte del pregare: non perché i Maritain avessero proposto una ‘regola’ o avessero fondato un movimento, ma piuttosto perché Jacques e Raissa – assieme alla sorella di Raissa, Vera – custodirono sempre l’umiltà di alimentare ogni passo culturale ed intellettuale alle sorgenti dell’Eucarestia e della Scrittura. Un grande maestro anche agli occhi di Paolo VI, da proporre ai laici cristiani in particolare, in un contesto che fin da quel 1973 appariva sempre più impegnativo ed esigente per il mondo cattolico: un maestro capace di insegnare i segreti dello stare al mondo in una società e in una cultura in continua evoluzione.

La vita di Jacques Maritain, nato il 18 novembre 1882, è stata senza dubbio intensamente movimentata, quasi strattonata dagli avvenimenti che hanno segnato la storia del ‘secolo breve’, di cui è stao uno dei più significativi protagonisti.

Oggi, la tentazione del catastrofismo è sempre incombente e non giova all’etica pedagogica, che impone di guardare hic et nunc alle esigenze dei ragazzi che stanno crescendo, ai loro bisogni emotivo-cognitivi, alla qualità delle relazioni che si instaurano ogni giorno, anche con le modalità digitali dei social network.  Vorrei occuparmi della pars construens, di quello che ancora possiamo fare o stiamo già facendo, per incrementare la consapevolezza dei bisogni formativi così diffusi ed impellenti nelle generazioni giovani ma anche negli adulti (life long learning) e rendere le nostre azioni educative più intense, partecipate ed efficaci.

Il nostro essere è creato dalla cura; perciò genitori, docenti ed educatori in genere devono testimoniare ogni giorno il progetto essenziale dell’educazione, che consiste nel prendersi cura dell’autorealizzazione dell’altro ( I CARE era il motto di Don Milani, per il quale ‘esser maestro, esser sacerdote, esser cristiano, essere artista, essere amante e essere amato è in pratica la stessa cosa’). Per farlo, ognuno dovrebbe rimotivarsi alla comunicazione autentica, cominciando da se stesso per dar vita ad una pedagogia della comunicazione e dell’orientamento valoriale, in cui la relazione educativa si configura come reciprocità nella co-educazione, come antropologia dialogica.

Non sono molti gli adulti ad avere piena  consapevolezza di quanto il contatto emotivo-relazionale con i giovani  faccia con-crescere le diverse generazioni. Si è troppo convinti – nella maggiore età – delle proprie acquisizioni mentali per essere disposti a metterle in gioco nella relazione educativa, che sicuramente presenta i suoi rischi. 

Sulle tracce dell’Umanesimo integrale di Maritain, proviamo a declinare insieme quelle che devono essere le caratteristiche essenziali della comunicazione educativa in epoca post-moderna. Voglio farne proprio un elenco, per maggiore chiarezza e perché ognuno possa provare a confrontarsi  concretamente con le azioni proposte:

  • desiderare e favorire la crescita dell’altro (mi sta a cuore);
  • motivare ed entusiasmare l’altro verso la propria autorealizzazione e accompagnarlo facendolo sentire capace, in gamba, fiducioso nelle sue capacità (empowerment);
  • incoraggiare l’autostima (es.:ce la puoi fare, senso di autoefficacia);
  • assicurare sostegno in caso di bisogno;
  • insegnare ad essere strategici (es.: per correggere questo errore ritorna sul ragionamento che hai seguito – comportamento metacognitivo);
  • valorizzare i punti positivi, esprimere apprezzamento;
  • rispettare la persona dell’alunno, specialmente se in difficoltà.

Come insegna Maritain – e ben sottolinea la Coppola nel suo testo – l’educazione è prima di tutto un incontro interpersonale, in tempi come i nostri in cui individualismo esasperato, carrierismo, fondamentalismo economico ed emozioni tossiche (Goleman) – come la sfrenata competitività – minano alla base i rapporti umani, creando disorientamento e senso di solitudine.  Attualmente, la crisi dell’adultità imperversa come forse mai nel passato, intaccando i valori fondanti della persona, così cari al Maritain, fino a rendere necessario rifondare un’antropologia pedagogica saldamente ancorata ai principi della convivenza e della cittadinanza.

Per andare contro corrente e ridurre i guasti già in atto, occorre stipulare un patto di alleanza interistituzionale, al fine di stimolare la produzione di ‘beni relazionali’ come la conoscenza e l’amicizia, il cui consumo non diminuisce le scorte esistenti ma le incrementa. Qualcuno come Serge Latouche, fautore della de-crescita serena, invoca resistenza e dissidenza come igiene di vita per colmare il vuoto di valori, opponendosi al deterioramento etico. Né indignati né rassegnati dunque, ma convinti  che una rivoluzione antropologica come quella che oggi si richiede non potrà realizzarsi senza passione, curiosità, audacia.

In tempi di tecnologie forti e di pensiero debole – in cui gli imperi (virtuali) non si decidono su confini reali ma su network– la democrazia è stata aggirata col tramonto della persona come base della polis. Ma il panorama invisibile è fatto di legami; dalla pedagogia alla politica il passo è breve, come ha dimostrato Platone nella Repubblica.

Individuo versus collettività: questa schizofrenia deve essere superata con l’affermazione della persona e del bene comune, che è l’insieme delle condizioni che consentono alle persone l’autorealizzazione.  Il bene comune è molto più della somma dei beni individuali, ma è determinato dalla qualità delle relazioni tra le persone: ha capacità di includere  e di attuare i valori ‘non negoziabili’.

Si configura quindi l’assoluta necessità di un agorà etico in cui si realizzi il dialogo intergenerazionale e tra pari. Ma l’abilità dialogica si educa: non è scontato saper dialogare. Occorre quindi essere preparati in famiglia e nella scuola a dialogare, dilatando i tempi di ascolto reciproco e facilitando la comunicazione. Gran parte dell’aggressività nasce dall’impossibilità di comunicare. Il bullo è un frustrato della comunicazione, che si carica come una molla delle sue pulsioni comunicative senza riuscire ad estrinsecarle, fino a diventare violento.

Il dialogo a scuola si esplica nelle attività di tipo laboratoriale, rese obbligatorie dalla riforma ma nei fatti relegate nella progettazione scolastica a tempi e spazi del tutto residuali, perché a volte non è chiara ai collegi docenti l’epistemologia del laboratorio, né la sua metodologia. Per questo sarebbe necessaria una seria e capillare attività di formazione dei docenti  delle scuole di ogni ordine e grado alla didattica laboratoriale.

Argomento scottante questo per una serie di motivi, tra cui in primo luogo la reiterata sottrazione di fondi ai bilanci delle scuole e in secondo luogo una scelta poco condivisibile operata anni fa a livello di Contrattazione collettiva nazionale, per cui si definisce la formazione soltanto come diritto e non anche come dovere, lasciando al singolo docente la facoltà di esercitare questo diritto  in forma del tutto autoreferenziale. Così assistiamo ad una formazione, nel migliore dei casi, a macchia di leopardo, a seconda dei desiderata dei singoli collegi docenti e alla disparità di opportunità educative (del tutto incostituzionale)  tra gli alunni che, loro malgrado, ricevono prestazioni qualitativamente sperequate.

L’appello  da rivolgere ai decisori dell’educazione, dal ministro ai dirigenti regionali e delle singole istituzioni scolastiche, è quello di sostenere i docenti, ri-motivandoli e gratificandoli, facendoli auto-percepire come la persona giusta al posto giusto (empowerment). Non si possono più sottrarre risorse alla scuola: siamo arrivati all’osso e  i docenti hanno bisogno di riconoscimento e dignità sul piano sociale.

Sull’etica della comunicazione dialogica si fonda la pedagogia della cittadinanza e dell’orientamento valoriale, che esercita i suoi effetti retroattivi anche sui collegi docenti, perché non svolgano la loro funzione in formule puramente rituali, ma si trasformino in comunità di ricerca pedagogica e didattica.

Infine, sull’esempio di Maritain, bisogna credere e praticare una pedagogia della bellezza per recuperare slancio ed entusiasmo a contatto con le innumerevoli creazioni del genio umano,  che vanno dalla letteratura alla musica, dalle arti figurative al teatro, al cinema e oggi anche ai linguaggi digitali, che possono veicolare i messaggi artistici in tempo reale da una parte all’altra del pianeta.