Un inedito erbario a Montevergine
Date:
28 Luglio 2015
(di Anna Battaglia)
Presso la Congregazione Benedettina di Montevergine è custodito un magnifico erbario dell’inizio del secolo XX, che, a breve, sarà restaurato, molto importante per il valore scientifico intrinseco, a detta degli esperti, perché censisce specie della flora, soprattutto locale, di cui non sono presenti molti riscontri. È risaputo infatti che di erbari, e con tale denominazione s’intende per lo più un compendio che descrive il mondo vegetale in una maniera più o meno ricca, ne sono stati prodotti pochi nel corso dei secoli. L’originale erbario di Montevergine consiste in una grande raccolta di exsiccata cioè di campioni erboristici secchi posizionati su fogli assorbenti, custoditi in cartelline di cartone scuro, attualmente alcune molto rovinate, con numerose macchie organiche e di umido. Originariamente la raccolta era al Santuario di Montevergine, nell’archivio annesso all’Osservatorio Meteorologico, e poi trasferita nel Palazzo abbaziale di Loreto, dove è ubicata tuttora. Da un primo riscontro, si è potuto stabilire la consistenza: consta di settecento cartelle sciolte e più, che contengono all’interno varie specie corredate da etichette. Nella produzione di questo tipo di erbari, dopo la raccolta degli esemplari, che deve avvenire in un certo modo, così come il processo di essiccazione (ci perdoneranno gli specialisti per le notizie spicciole e le inesattezze!) è necessario procedere all’etichettatura degli exiccanti. Su tali cartellini vanno inserite varie informazioni come la denominazione scientifica della specie, la data di raccolta, il luogo di raccolta, il nome del raccoglitore. Tali dati, che corredano le specialità erboristiche di Montevergine, si presentano manoscritti e riportano in fondo la firma del raccoglitore che ha permesso di attribuire l’erbario ad un padre barnabita. In un primo momento si era pensato fosse opera di un monaco di Montevergine (è doveroso qui ricordare gli innumerevoli religiosi della congregazione che si sono dedicati con dedizione alla loro missione, ma che, nel contempo, hanno avuto un enorme spessore culturale e ci hanno tramandato moltissime conoscenze, soprattutto in campo locale). Osservando con attenzione la firma autografa, si è incominciato a delineare in maniera nitida il nome dell’ autore, che ha pubblicato nel secolo scorso, il 1904, l’ opera dal titolo “La flora estiva dei Monti d’Oropa” e ripubblicata, in ristampa anastatica, dal prof. Fabrizio Bottelli nel 2007. Per un maggior riscontro, numerosi sono stati i contatti con i responsabili del Santuario d’Oropa e della Biblioteca ed Archivio ad esso annessi, che erano a conoscenza della presenza dell’autore a Montevergine, nel periodo estivo, nei primi decenni del secolo scorso, ma ignoravano la stesura dell’erbario di Montevergine. Il comm. Mario Coda, con squisita cortesia, ha inviato in dono la pubblicazione suddetta in modo da confrontare la grafia manoscritta. Si tratta dunque del religioso G. Pellanda, di umili origini, nato ad Intragna in Canton Ticino nel 1865, di cui si riportano, di seguito, cenni biografici tratti dall’introduzione del Bottelli, altresì Direttore dell’Oasi WWF del Giardino Botanico d’Oropa. Padre Giuseppe Pellanda ottenne l’accesso al Piccolo Seminario del beato Cottolengo in Torino per poi ricoprire la carica di prefetto al collegio di Moncalieri dove maturò la volontà di essere ammesso alla Congregazione dei Barnabiti. (A proposito di tali religiosi, un cenno merita l’insigne studioso e scienziato Padre Francesco Denza, pioniere della Meteorologia in Italia che, alla fine del secolo XIX, venne a Montevergine per visionare l’Osservatorio Meteorologico, voluto dall’abate Guglielmo De Cesare. In tale occasione il religioso barnabita portò con sé diversi strumenti per le osservazioni, che donò alla congregazione Verginiana, quali barometri, termografi, pluviometri). Giuseppe Pellanda vestì l’abito religioso nel 1886; negli anni seguenti un’emorragia polmonare lo costrinse a sospendere lo studio e l’insegnamento. Quando si ristabilì, tornò ad insegnare le scienze naturali al Ginnasio ed intraprese il primo importante riordino del Museo di Storia Naturale del Collegio; dal 1903 al 1906 fu mandato, per motivi di salute, ad Oropa dove era attivo uno stabilimento idroterapico e proprio sul posto iniziò la stesura della sua opera sulla flora del monti circostanti. Nell’ottobre del 1906 pervenne al Collegio Bianchi di Napoli e poi a San Giorgio a Cremano dove continuò nella sua ricerca di specie erboristiche. Collaborò con diversi professori universitari e s’inserì in un articolato programma di ricerca floristica denominato Flora italica essiccata, come si evince dal “Bollettino della Società Botanica Italiana”. Ad esso collaborarono il prof. Trotter, che tanto si era dedicato alla flora irpina, ed il prof. Fridiano Cavara dell’Orto Botanico di Napoli, venuto spesso a Montevergine, come si evince dalla documentazione cartacea custodita nell’archivio storico, a sorvegliare le attività del giardino alpino ubicato nei pressi del Santuario. Tra il 1905 ed il 1914, il “Giornale Botanico Italiano” pubblicò le cosiddette Centurie sulle piante tracheofite rare o floristicamente importanti; il religioso collaborò appieno come dimostrano le sue raccolte di cui si conservano pochi esemplari a Vienna, Copenaghen, Edimburgo. In tale periodo si riscontra la sua presenza a Montevergine, dove nella ricerca delle specie erboristiche ebbe la collaborazione del monaco verginiano Ildebrando Mancini; lo si desume da diversi cartellini che corredano l’erbario. Quest’ultimo ebbe sicuramente molta dimestichezza nel campo erboristico, soprattutto nel periodo della sua lunga permanenza, dal 1926 al 1947, come parroco presso la dipendenza verginina di Terranova. Il padre Giuseppe Pellanda nella mattina del 26 novembre 1927 fu trovato morto (per tubercolosi ossea?) dai confratelli presso il Collegio di San Giuseppe a Pontecorvo a Napoli. La sua raccolta degli exsiccata fu bruciata per timore del contagio; l’erbario di Montevergine potrebbe rivestire così un’importanza notevole da un punto di vista scientifico anche perché è uno dei pochi esemplari superstiti. Esso custodisce varietà erboristiche non solo raccolte presso il Santuario di Montevergine, ma presso vari luoghi della Campania: Isola d’Ischia, Vesuvio, Lago Lucrino, Valle di Pompei, Boschi del Fusaro, Cuma, Sarno etc., censite in un periodo cronologico che va dai primi anni del 1900 al 1918-’20. Sono inoltre presenti alcune specie provenienti dal Piemonte, dalla Liguria e dalla Valle d’Aosta.