Cristianesimo e persecuzioni a 1700 anni dall’Editto di Milano
Date:
16 Aprile 2014
Da Emanuele Mollica, della Commissione Diocesana Beni Culturali dell’Abbazia di Montevergine, riceviamo e volentieri pubblichiamo
Il cristianesimo e le persecuzioni dei primi secoli a millesettecento anni dall’Editto di Milano (313)
(di Emanuele Mollica)
Il cristianesimo, partendo dalla Palestina, si diffuse successivamente nel Medio Oriente e in tutto il Mediterraneo, fino a Roma, capitale dell’Impero, dove trovarono il martirio i due grandi padri fondatori della Chiesa, e cioè Pietro e Paolo. E’ il tempo del principato di Nerone (54 – 68) e ai danni dei cristiani si attua la prima persecuzione. Ma non è lontanamente paragonabile a quelle che sarebbero seguite nelle epoche successive in quanto questa fu limitata alla sola città di Roma. Nei primi due secoli le comunità cristiane ebbero modo di accrescersi notevolmente, al punto che in una lettera del decimo libro dell’epistolario pliniano si afferma che «per effetto della nuova religione, i templi degli dèi del Ponto erano ormai disertati»[i]. Sulle persecuzioni di Domiziano (81 – 96) si hanno davvero poche notizie, ma di una certa importanza è quanto riportato dallo storico greco Cassio Dione, dove nel libro 67 della sua Storia romana afferma che sotto Domiziano furono condannati di “ateismo”, e cioè il rifiuto di riconoscere la divinità imperiale, alcuni personaggi, tra cui il console Flavio Clemente e sua moglie Domitilla, con l’accusa di aver adottato «gli usi giudaici»[ii]. Sostiene il Bosco che «è notevole che un intellettuale come Dione Cassio chiami il rifiuto del culto all’imperatore “ateismo”; significa che a Roma non si ammette nessun’ idea di Dio che non coincida con la maestà imperiale. Chi ne ha una diversa viene eliminato come gravemente pericoloso alla “civiltà umana”»[iii]. L’episodio di Domiziano denuncia, ancora una volta, di come taluni imperatori fossero particolarmente legati al culto della propria personalità che, quando non sfociava in megalomania, rivestiva un’utilità strategica quale punto di riferimento per tutti i cittadini dell’impero, di ogni razza o religione e quindi, al tempo stesso, come elemento aggregante. Il II secolo è forse per i cristiani il periodo di maggiore e relativa tranquillità, ed è proprio in questo periodo che si amplia notevolmente la cerchia dei proseliti, e si creano le basi di una vera e propria organizzazione, costituita da una separazione tra clero, organizzato in una struttura gerarchica e laici (da laos, popolo di Dio). Il tutto viene reso possibile da un atteggiamento certamente non accondiscendente, ma allo stesso tempo nemmeno persecutorio da parte degli imperatori del secolo secondo. Di notevole importanza è il famoso “rescritto” di Traiano (98 – 117)[iv] in risposta ai dubbi di Plinio il giovane, che nel 112 rivestiva il ruolo di governatore della Bitinia, nel mar Nero. Premesso che le associazioni erano state vietate già nel 7 a.C. per motivi legati essenzialmente alla possibile destabilizzazione dell’ordine costituito, Plinio si trovò di fronte a numerose “associazioni” di cristiani in quella realtà. E alla richiesta del governatore su che atteggiamento utilizzare nei loro confronti in seguito ad alcune denunce e su come orientarsi se giudicare reato il cristianesimo in sé o gli atti commessi in nome dello stesso, Traiano non dà una vera e propria risposta, ma lascia valutare al governatore i singoli casi, e avverte comunque di muoversi solo nel caso di precise e fondate denunce, senza prendere in considerazione quelle anonime che sono «di pessimo esempio e indegne». Da questo dato emerge nuovamente un vero e proprio vuoto giuridico, dove ancora non è chiaro se esiste o meno un reato di “cristianesimo”. Tuttavia anche questo periodo contempla alcune persecuzioni, nel periodo che va dal 108 al 112, all’interno delle quali trova la morte Ignazio di Antiochia. Un po’ più netta è la posizione di Adriano (117 – 138) che arrivò addirittura a minacciare di punire gli autori di azioni delittuose attribuite ai Cristiani, qualora si fossero rivelati dei calunniatori. Sulla stessa linea dei primi due Antonino Pio (138-161). Con Marco Aurelio (161-180) e forse con Commodo[v] (180-193) si inasprisce notevolmente la situazione dei cristiani. All’imperatore-filosofo «doveva apparire del tutto incomprensibile la ricerca della gioia nel martirio»[vi]. Ad ogni modo non risulta che sia stata presa una posizione netta contro i cristiani, ad esempio tramite editti, anche se ci sono da registrare una serie di provvedimenti presi, quasi tutti, pare, da autorità locali. Il cristianesimo, sotto i Severi fu ampiamente tollerato, ad eccezione del 202, quando l’imperatore Settimio Severo (193-211) vietava ogni genere di proselitismo ebreo o cristiano. Con Alessandro Severo (222-235) si assiste addirittura a un fenomeno di sincretismo religioso da parte dell’imperatore medesimo. Secondo la Historia Augusta Alessandro aveva nel suo larario, accanto ad Orfeo e ad Apollo, Abramo e Cristo[vii]. Inoltre lo stesso imperatore concesse alle chiese cristiane di stare in giudizio e di disporre di beni[viii]. Contrastanti sono le notizie inerenti Massimino il Trace (235-238). Secondo la storiografia cristiana sarebbe stato il fautore di un’ulteriore persecuzione mentre sembra addirittura che Filippo l’Arabo (244-249) si fosse convertito al cristianesimo. Il quadro generale che se ne ricava è che tra secondo e prima metà del terzo secolo, la Chiesa (lat ecclesia, dal gr. Ekklesia, assemblea) era oramai diventata una grande organizzazione, non avendo avuto rilevanti episodi di contrasto e addirittura era arrivata al punto di gestire fondi propri. Vi era quindi una consolidata struttura gerarchica, con una presenza capillare e stabile in tutto il territorio imperiale. Ben chiare, erano le pratiche liturgiche. Nasce inoltre l’apologetica, in difesa della Dottrina e contro le eresie pagane, e il tessuto sociale in cui sono inseriti i cristiani è quanto mai ampio e variegato, con gli stessi cristiani che sono oramai presenti fin nelle più alte cariche statali.
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Con l’imperatore Decio (249-251) si apre sicuramente la fase più triste e tragica della storia cristiana. Se nei secoli precedenti gli imperatori e i funzionari locali avevano operato diverse condanne ai danni dei cristiani, e comunque sulla base di denunce da parte di altri cittadini, o localizzate in seguito ad alcuni eventi particolari, con Decio si apre un periodo di persecuzioni sistematiche su tutto il territorio imperiale. Le motivazioni sono sempre le stesse, ma stavolta sono ancora più accentuate in quanto si assiste a un cambiamento della situazione storico-politica, con un’evoluzione istituzionale verificatasi tra I e III secolo. Secondo lo storico tedesco J. Vogt[ix] si assiste a una sorta di passaggio dal principato all’impero militare e l’assolutismo imperiale accentua ancor di più il proprio carattere legato alla divinizzazione della massima autorità politica e militare, l’imperatore. Infatti «il sovrano, ormai comandante in capo di un’enorme esercito legato a lui solo, unico legislatore dello Stato, proprietario della maggior parte del terreno coltivabile dell’impero, stava in alto al di sopra del popolo e dei cittadini, anzi di tutti i sudditi, ed era formalmente venerato come un essere divino. I sudditi chiamavano l’imperatore “nostro signore”, “nostro dio”, la casa imperiale si chiamava “domus divina”»[x]. In questa sorta di mutamento della concezione dell’imperatore si inseriscono sempre, magari più accentuati, diversi problemi legati alla stabilità dello Stato in cui la stessa sopravvivenza dell’impero come organizzazione politica unitaria era in discussione, e i cristiani oramai apparivano come una sorta di organizzazione parastatale, con delle proprie regole e la propria economia, dalla dubbia lealtà nei confronti della somma autorità statale ma al tempo stesso non assolutamente identificabili. Al contrario delle popolazioni nemiche, o delle comunità ebraiche, essi si confondevano perfettamente nella società romana in tutte le classi sociali. Non a caso, proprio nel periodo più florido per il cristianesimo, e in uno dei peggiori momenti di crisi dell’apparato statale, in cui le popolazioni «dovevano sentire quotidianamente la propria dipendenza dai poteri superiori»[xi], come ad esempio nel culto imperiale, ecco che con Decio, nella metà del terzo secolo, inizia un’autentica azione di “stanamento” e conseguente “punizione” per gli adepti di quella particolare “setta”. Infatti divenuto imperatore Decio, nel vano tentativo di restaurare le antiche tradizioni ed istituzioni romane, ordinò che tutti i cittadini dell’Impero avrebbero dovuto offrire sacrifici alle divinità statali, compreso l’imperatore. Ovviamente questa veniva considerata una formalità equivalente ad una testimonianza di lealtà all’imperatore e all’ordine costituito. Instaurò delle apposite commissioni che dovevano far eseguire i sacrifici a tutti i cittadini dell’impero, e a coloro che sacrificavano, era rilasciato una sorta di attestato. Ai cristiani che si rifiutavano di adempiere a quegli obblighi erano riservati l’arresto, le torture, la morte. Coloro che si piegavano alla volontà dell’imperatore venivano chiamati lapsi e cioè, “caduti” dagli stessi cristiani.
L’imperatore Valeriano, poco prima di essere catturato dai Persiani, emanò due editti contro i cristiani. Con il primo, nel 257, impedì di fatto le assemblee di culto ed obbligò la parte gerarchica (vescovi, preti e diaconi) a sacrificare agli dèi, pena l’esilio. Il secondo provvedimento fu essenzialmente mirato a colpire i beni della Chiesa dal momento che le casse statali erano in forte dissesto. Viene quindi colpita l’istituzione ecclesiastica in primis, ma vengono presi di mira anche senatori e cavalieri, che disponevano di cospicue finanze. Tra l’altro si registra la confisca dei cimiteri cristiani e di altri luoghi di culto. Gravi furono le ripercussioni che ebbero nell’Impero queste prime persecuzioni capillari, in quanto non si fece altro che destabilizzare ulteriormente l’apparato statale senza tuttavia risolvere i problemi da cui erano scaturite le persecuzioni medesime. Lo capì bene Gallieno (253-268), che cambiò completamente impostazione. In seguito alla cattura del padre revocò tutte le norme anticristiane, e in conseguenza a queste decisioni rientrarono tutti gli esuli e alla Chiesa furono restituiti tutti i beni. Si trattava di un episodio fondamentale sulla strada del successivo riconoscimento del cristianesimo quale religio licita[xii].
In tutta la seconda metà del terzo secolo non si registrano persecuzioni ai danni dei cristiani, anche dopo l’insediamento di Diocleziano (284-305). L’imperatore infatti non si era posto, almeno inizialmente, il “problema” del cristianesimo, dando invece la priorità a una serie di leggi e riforme per tentare di risollevare l’apparato statale. Dal punto di vista politico fu sicuramente un ottimo monarca in quanto grazie alla sua intensa attività in campo economico, politico e militare consentì all’Impero di risorgere dalle rovine del III secolo. E a tale scopo era necessario chiarire che essendo la religione non un fatto privato, ma pubblico, posta alla base delle tradizioni romane, era necessaria la partecipazione di tutti. Diocleziano si rendeva conto che ormai l’ascesa del cristianesimo era inesorabile, e ormai poteva contare proseliti anche tra i suoi più stretti collaboratori se non addirittura familiari. Egli pretese che tutti i cittadini, cristiani compresi, partecipassero attivamente alla vita pubblica, di cui la religione tradizionale era uno dei punti fondamentali. Tra l’altro il culto della divinità dell’imperatore aveva raggiunto il suo culmine. E non riuscendo tuttavia ad attuare tale cosa, sulla scia di Galerio, che aveva già emanato provvedimenti chiaramente anticristiani, a partire dal 302 emanò una serie di editti che avevano per finalità l’annullamento totale del cristianesimo. Fu proprio la grande cura nei dettagli di cui Diocleziano si era da sempre contraddistinto dall’inizio del suo impero a rendere la persecuzione avvenuta tra il 303 e il 305 la più grande, atroce e terribile di cui si abbia memoria. Certo, appare strano che abbia adottato un provvedimento così drastico dopo quasi un ventennio dal proprio insediamento, e la riflessione che se ne ricava è che se da un lato l’imperatore abbia voluto attendere a intervenire, ben consapevole che vi fossero cristiani anche nelle postazioni di potere, dall’altro «è possibile che abbia giocato un ruolo il timore che la diffusione del cristianesimo nell’esercito potesse rappresentare una minaccia al rigore della disciplina militare»[xiii]. Da qui, la necessità di intervenire in maniera radicale.
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Dopo le terribili persecuzioni sistematiche di inizio IV secolo, si insedia al potere Costantino, figlio di Costanzo Cloro, dopo la celebre battaglia di Ponte Milvio (23 ottobre 312), sulla via Flaminia, vinta ai danni di Massenzio che, nella dissoluzione dell’impero tetrarchico, mirava al dominio dell’Occidente. Si fece immediatamente proclamare dal senato ”Maximus Augustus”. Poco tempo dopo il riconoscimento, proclamò insieme all’altro “augusto” Licinio, che uscirà di scena dopo un decennio, il cosiddetto Editto di Milano, con cui si proclamava la libertà di culto per i cristiani e si ordinava la restituzione dei beni loro confiscati. S’inaugura in tal modo, una nuova era per i cristiani e per l’Ecclesia in generale che inizia a organizzarsi in modo deciso, soprattutto dal punto di vista strutturale. Infatti in seguito alla pace della Chiesa (313 d.C.), vengono eretti nell’Impero edifici cultuali ad uso esclusivamente cristiano, e di notevole spessore sono le committenze imperiali a Roma e Gerusalemme. Le prime basiliche vengono costruite all’esterno del tessuto cittadino, di cui alcune nelle aree cimiteriali[xiv], come nel caso della Basilica di San Pietro, costruita sulla tomba dell’Apostolo per volontà dello stesso imperatore, e solo nei secoli successivi saranno edificate nei centri, andando a inficiare in tal modo sull’assetto urbano. Nessun imperatore in seguito a Costantino, fatta eccezione per Giuliano (361-363), avrebbe più attentato alla religione cristiana e all’istituzione stessa, che aveva ormai raggiunto una caratterizzazione precisa. Giuliano, salito al potere nel 361, cercò di restaurare il paganesimo, anche se non proprio sulla base del modello tradizionale, dal momento che comunque era cosciente anch’egli che i tempi erano mutati. L’intento di Giuliano probabilmente era mirato a ricomporre i dissidi interni allo stato per tentare di rinsaldarne l’unità morale. E tra i provvedimenti adottati si registra quello di escludere la Chiesa dai contributi statali. Per tale atteggiamento ostile nei confronti dei cristiani, gli fu attribuito l’appellativo “apostata”. Fu quello l’ultimo tentativo da parte del potere costituito di osteggiare l’oramai dilagante e inarrestabile forza del cristianesimo, diffusosi solo tre secoli prima, ma che aveva segnato in modo indelebile Roma e il mondo. Addirittura qualche anno più tardi, Graziano e Teodosio, rispettivamente imperatori d’Occidente e d’Oriente, con l’Editto di Tessalonica, fanno del cristianesimo l’unica religione di Stato (380).
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[i] Ep. Pliniano, lib.10 in E. Lo Cascio – L’impero nel II secolo, in Introduzione alla storia di Roma, pag. 362 (a cura di E. Gabba), Milano 1999
[ii] Secondo altri studiosi, come Lo Cascio (la diffusione del giudaismo e del cristianesimo, in “Introduzione alla storia romana”, a cura di E. Gabba) si tratterrebbe invece della repressione degli oppositori del regime imperiale, nella quale rimasero coinvolte persone vicinissime all’imperatore, di probabili simpatie giudaico-cristiane.
[iii] Cfr. Bosco T. – Accusati di ateismo
[iv] Plinio il Giovane, Epistolario, X, 96-97
[v] Su Commodo tuttavia è aperto il dibattito, in quanto non si segnalano episodi di particolar rilievo nei confronti dei cristiani.
[vi] Lo Cascio E. – L’Impero e il Cristianesimo, in Introduzione alla storia di Roma, a cura di E. Gabba), Milano 1999.
[vii] Historia Augusta, vita Alexandri Severi, 28.2
[viii] ibidem
[ix] Vogt J. – Il declino di Roma – Milano 1965
[x] ibidem
[xi] ibidem
[xii] Lo Cascio E. – L’Impero e il Cristianesimo, in Introduzione alla storia di Roma, a cura di E. Gabba), Milano 1999.
[xiii] Lo Cascio, 1999, pag 428.
[xiv] Alcuni luoghi di culto vennero edificati nei pressi dei cimiteri, subdiali o sotterranei, ma in aree extraurbane. Le XII tavole (V sec a.C.) infatti, in materia di sepoltura, imponevano l’obbligo di seppellire i defunti in aree extra moenia.