Il piazzale dei tigli a Montevergine
Date:
4 Settembre 2013
(di Anna Battaglia)
Catalogando ed inventariando il posseduto della Biblioteca Statale di Montevergine con archivio annesso, spesso, capita di soffermarsi, cercando di comprendere al meglio il contenuto del materiale bibliografico ed archivistico al fine di offrire al lettore una descrizione adeguata da un punto di vista tecnico, che possa soddisfarlo nella sua esigenza di studio e di ricerca. Non si può dire sia semplice, a volte, riuscire a capire di cosa tratti quel tale libro o manoscritto o incartamento, che spesso richiede al bibliotecario o all’archivista la necessità di documentarsi per comprenderne appieno il senso.
Un piccolo stampato di 30 pagine, in caratteri romani e corsivi, con una bella iniziale ornata alla pagina 1, riscontrato nel lavoro ordinario di catalogazione, ha suscitato interesse e curiosità; l’argomento è legato alla storia locale, all’abbazia di Montevergine verso la fine del secolo 17. Particolarmente tratta di alcuni avvenimenti che hanno a che fare con il cosiddetto Piazzale delle Teglie o dei Tigli, lo spazio antistante l’ingresso al santuario, (chiamato forse cosi per la presenza dei tigli?! Quale pellegrino non ricorda di essersi soffermato sotto la benefica grande ombra del secolare albero, posto al centro dello spiazzo, per sfuggire alla calura estiva o per rifocillarsi dopo la visita a Mamma Schiavona?).
I fatti legati a tutte le controversie per le liti intercorse nel passato sono comunque noti, ma la lettura di alcuni documenti dell’archivio storico, connessi al contenuto dello stampato, ha permesso di evidenziarne aspetti poco conosciuti (ad esempio la descrizione del Piazzale nel 1555, le tradizioni, ora scomparse, legate alla Scala Santa. Non si tratta dello scalone di accesso alla vecchia basilica, ma della Scala, sul piazzale, antistante la Cappella ora detta di San Guglielmo o dell’Apparizione, che i pellegrini percorrevano in ginocchio per devozione) e di offrirne la trascrizione delle parti più significative, qui di seguito riportata, per quanti desiderano soffermarsi nella lettura.
Dalla carta segnata A1 del libretto appare evidente che si tratta di una causa intercorsa tra l’abbazia di Montevergine e le Università e gli Uomini di Mercogliano, Mugnano e gli altri Vassalli del Monastero. Le vertenze circa il Piazzale dei Tigli ed il possesso della montagna sono state, nel passato, lunghe e dispendiose; il fine comunque legato ad interessi economici che spingevano i vassalli a violare i diritti dell’abbazia di immunità ecclesiastica. L’abbazia di Montevergine sosteneva che il Largo dei Tigli fosse di suo privato dominio e che per tale ragione poteva proibirne l’ingresso per vendere commestibili o allestire taverne senza sua licenza. Inoltre, dal momento che ne aveva la giurisdizione, procedeva a punire sommariamente i rei che scontavano pene di natura religiosa come scomuniche o censure, pecunarie o essere rinchiusi nelle carceri, prima di essere giudicati dalla giurisdizione civile. L’Annunziata di Napoli, sotto il cui dominio era passata l’abbazia nel 1515, spesso dalla parte dei vassalli, dei quali successivamente, in seguito all’accordo, noto come “Concordia”, divenne amministratrice, dichiarava invece non lecito l’atteggiamento dei religiosi, sostenendo che il “Largo delle Teglie” fosse pubblico. Ancor più la tesi era avvalorata dal fatto che vi confluivano tre strade pubbliche verso i paesi vicini di Ospedaletto, Mugnano e Quadrelle: di qui l’illegittimità del muro fatto alzare dal monastero. Il suo perimetro, demolito più volte, s’intravede distintamente nelle Carte Geografiche delle Gallerie Vaticane, insieme alle vie di accesso ed alla cappella con la Scala Santa.
Questi fatti sono oggetto della causa, di cui tratta il libretto, disputata alla presenza degli Ufficiali della Sacra Congregazione dell’Immunità che aveva il compito di esaminare ogni controversia legata alla violazione della giurisdizione e dei benefici ecclesiastici. I vassalli si appellavano al giudizio del dicastero, ritenendo ingiusto essere incorsi nelle censure e pene per il fatto accaduto nel mese di settembre del 1689. In quell’occasione irruppero in modo ostile sul Piazzale, con mano armata, demolendo il muro che circondava il primo atrio o cortile attraverso il quale si entrava in chiesa, arrecando danni alle costruzioni del monastero e alle iscrizioni marmoree esistenti ed usurpando tutte le esazioni e i diritti spettanti ai monaci. La Sacra Congregazione dell’Immunità, come si legge nelle pagine seguenti dello stampato, premette due solidissimi fondamenti: che l’abate generale di Montevergine ha sotto la sua giurisdizione un suo proprio territorio con piena giurisdizione spirituale e temporale e che l’abbazia nullius è immediatamente soggetta alla Santa Sede; nel secondo viene ribadito che il territorio della montagna sul quale il monastero è eretto spetta di proprietà ai monaci e che ne hanno il possesso da più di cinque secoli. (Si rammenta, a tal proposito che il libretto è della fine del secolo XVII !). Viene specificato, inoltre, che di tali questioni ne hanno trattato ampiamente i cronisti verginiani, come ad esempio il Giordano ed il Mastrullo, abati di Montevergine, rispettivamente nelle Croniche ed in Montevergine Sagro; sono elencati poi di seguito tutti i documenti che, nel corso dei secoli, hanno permesso ai monaci di godere dei privilegi suddetti.
In fine allo stampato la firma del redattore, Giuseppe Rodoeri, vescovo della diocesi di Acerra dal 1697 al 1699, componente della Sacra Congregazione dell’Immunità che conclude con un’espressione significativa sottolineando l’aspetto religioso ”… ut Sol et Luna in tam gravi causa, sicut humiliter exorat” (affinché la controversia si risolva positivamente con l’accordo tra le parti).
La questione legata al possesso del Piazzale dei Tigli si protrasse per ben tredici anni; all’inizio l’abate Carlo Cutillo, nel 1687 (negli incartamenti 1699), per evitare abusi e assicurare maggiore tranquillità al monastero, aveva fatto costruire il muro, ma la cosa scatenò un’aspra lotta poiché l’abbazia non si trovava in pace e armonia con i suoi vassalli e soprattutto in discordia con la potente istituzione dell’Annunziata di Napoli. Alla fine si arrivò ad un compromesso: l’abbazia rinunciò in parte ai suoi poteri, come si legge nel documento del 31 maggio 1700 contenuto nella stessa busta n. 299, noto come “Istrumento di concordia tra il Monasterio, e Congregatione di Monte Vergine e li Signori Governatori della Casa Santa della santissima Annunziata di Napoli, sopra le controversie agitate lungo tempo in diversi Tribunali … & altro del largo detto delle Teglie”.
Le vicende legate al Piazzale dei Tigli, come tutta la documentazione cartacea e pergamenacea dell’archivio storico di Montevergine e della Biblioteca Statale che lo ospita, offrono lo spunto per ulteriori ricerche ed approfondimenti. Un cenno merita la Cappella di San Guglielmo o dell’Apparizione con la Scala Santa; attualmente, la costruzione sembrerebbe moderna avendo subito un restauro nel 1895, come recita la lapide sull’ingresso, ma i cronisti verginiani ci informano sulla sua storia. In quel luogo sassoso, anzi, per la presenza di un grosso sasso intero, formato dalla natura a forma di torre o torrione, i monaci costruirono una cappella a ricordo dell’apparizione di Cristo a San Guglielmo in quel luogo (la notizia si legge nel capitolo 7. dell’antico codice n. 1 della Biblioteca Statale di Montevergine, dal titolo Legenda de vita et obitu Sancti Guilielmi confessoris et heremite). La costruzione presentava un altare in mezzo sopra al quale era piantata una colonna di marmo alta fino al tetto e sopra la colonna una croce fatta allo stesso modo di marmo, che usciva fuori dal tetto alla vista di tutti. Sopra l’altare una statua della Madonna; a questa Cappella si accedeva tramite una scala di nove gradini (quanti se ne contano tuttora nella Cappella ora detta di S. Guglielmo o dell’Apparizione) che i pellegrini percorrevano in ginocchio recitando il Pater Noster e l’Ave Maria o qualche salmo per ciascun gradino, allo stesso modo che si fa alla Scala Santa di Roma, prima di entrare nella chiesa Maggiore.
Trascrizioni
Busta 299 – a. 1693 (c. 2-3)
… Il detto Monastero che sta situato in detta Montagna, rilasciata, come si è detto, a suo dominio, e sta medesimamente edificato sopra un vallone nella cima del detto Monte non con altro intorno, che scosese e precipitij fuorché avanti le mura del medesimo Monastero ove è un larghetto di passi 22 in circa che essendo tutto scosceso e montuoso fu nell’anno 1555 appianato dalli Padri con la spesa di ducati 325 come per publico Istrumento.
Questo picciol larghetto è una della gran pietra di scandalo che è insorta tra li Padri del Monastero, e tra i Signori Mastri della Casa Santa e delli Vassalli. Poiché parve al monastero per santi suoi fini, e per molte cose che in quel largo commettevano i secolari di notte, e per maggior decoro, e custodia di detto Monastero restringere quel larghetto con una linea di muro che tirò d’intorno dall’uno cantone del Monastero all’altro lasciando l’apertura alle strade che terminano a’ detto Monasterio per non impedire ogni accesso e recesso dei devoti, dei monaci et d’operaiis. Qui si deve notare che il monasterio non ha né selva né giardino né altro luogo piano ove si possa prendere aria e passeggiare al sole per comodità delli Padri, ma solo quest’unico larghetto, il quale larghetto (per essere libero a’ Padri per andarvi e non potendone loro impedire per la detta ragione di prendervi aria e passeggiarvi) per ogni buona economia deve avere il suo enchiusorio e il suo termine oltre che per segno di sua antica possessione; il monasterio da più di cent’anni vi ha un’habitazione che serve nell’estate ai suoi conversi et ai suoi coloni ch’ivi dimorano con li Bovi per la conduttura delle legna necessaria a quei Padri nel tempo di quelle rigidissime invernate e grandi nevi ch’ivi si patiscono, di più nel medesimo luogo sino ab antiquo il Monasterio ha fabricato una fontana con condurvi l’acqua per lungo tratto, e nel mezzo una cisterna et in un angolo una cappella ove si sale per molti gradini chiamata la Scala Santa delli devoti, che la fanno frequentemente in ginocchioni per riverenza, e divotione, nella quale si celebra nell’occorrenza la Santa Messa.
Questo picciol recinto che racchiude quanto si è detto fu murato nell’anno 1689, vi fabbricarono li medesimi vassalli senza alcuna contraddittione e stette in piedi pacificamente per lo spatio d’anni due. Doppo questi due anni a di 5 settembre del 1689 in numero di quattrocento, i vassalli demolirono il muro; li padri per ritardare detta demolizione vi portarono in processione nell’atto della demolizione il SS. Sagramento, né per questo si potè impedire l’attentato, anzi ardirono d’entrare in detta cappella, e nell’altre della montagna, e scorticare e sgraffignare le toniche delle medesime, in una delle quali vi era l’Imagine del Salvatore.
Il monasterio si trattenne molti mesi, per ridurre col negotiato a qualche segno di concordia e di penitenza la gente, e vedendo che si perdeva il tempo invano, citò i contumaci come Ordinario del luogo ad dicendos causa quare et non essendo ne havendo voluto comparire a portare una minima discolpa a lor difesa furono dichiarati al numeri di 60 scomunicati in circa tutto che fussero stati al numero di 400. Dal suddetto decreto declaratorio delle censure li suddetti vassalli appellarono alla Sacra Congregazione dell’Immunità e trasmessi per ordine della medesima Sacra Congregazione in Roma gli atti fu confirmato il suddetto decreto, ma poi a suppliche di detti vassalli la medesima Sacra Congregazione una volta gli fe’ assolvere et un’altra volta perché depositarono ducati 150 in potere dell’Ecc. sig. Card. Orsini acciocchè l’impiegassero alla refettione del suddetto muro e di più giurarono nella Corte spirituale di non più commettere simile eccesso, furono assoluti in tutto.
Assoluti questi dalle scomuniche, la Sacra Congregazione dell’Immunità à 19 agosto 1692 con sua lettera ordinò all’abbate del Sagro e Regale Monasterio, che gli fusse lecito impiegare i suddetti 150 ducati alla refettione del suddetto muro tant’che per tale effetto erano stati da quelli depositati. La suddetta lettera fu con riverenza dovuta presentata al Signore delegato della Giurisdittione supplicandolo per lo regio exequatur, e precedente la relatione fatta dal Regio Cappellano Maggiore e suo Ill.mo Consultore, fu à 25 di giugno 1693 conceduto il regio exequatur.
Con detti fondamenti giustificati per ogni parte il suddetto sagro e regale monastero riedificò il suddetto muro, lasciandoci tre aperture, et in ognuna di quelle piantò una croce e mentre si finiva il detto muro di perfettionarsi, quando il monastero si credeva dovere godere una tranquilla pace, si vide un impeto di 800 persone armate le quali accorsero a diroccar il muro intaccando con modi barbari a colpi di ferro le dette Croci. Perlocchè per modo defentionis, il suddetto abate ed ordinario procede di nuovo alla dichiarazione delle censure che gli furono approvate dalla Sacra Congregatione, la quale di più delegò l’Ecc.mo Sig. Card. Orsini. …
C. A2r. – A4v.
… “Primariamente si sono convenuti e si convengono , che nel largo delle Teglie secondo la misura, e pianta di esso, ut infra nelle festività di Pentecoste, nella natività di Nostra Signora e di S. Guglielmo ci possono andare a vendere tutte, e qualsivogliano persone …di qualsivoglia luogo senza licenza del detto Monasterio…, e ivi far Taverne, e baracche, vendere qualsiasi cosa vendibile, eccettuatene Copeta, Sosamelli, e Terrone, quale vendita … sempre proibite detto sacro Monasterio a qualsivoglia persona … e volendo dar licenza di vendere non possa darla, che venda nel detto largo, nel Cortile di dentro …
E si è convenuto, che per la detta libertà della vendita a ciascheduno nel cosiddetto Largo delle Teglie, e per lo detto Jus proibendi riservato ad essa santa Casa, debbia detta Casa Santa pagare a detto Sacro Monasterio annui docati sei, cioè carlini trenta nel dì della festa di Pentecoste di ciascheduno anno … e carlini trenta nel dì della natività di Nostra Signora d’ogni anno, alli otto di settembre …
Di più si è convenuto, che li Venditori, che in detto tempo faranno baracche in detto luogo per vendere non possono farle appoggiare nel muro del detto sacro Monasterio a finchè non si danneggi in modo alcuno, e perciò debbano discostarle almeno un palmo di muro dal medesimo sacro Monasterio, e di più debbiano far restare il passaggio libero da tutte le parti per entrare, e ritornare dal Monasterio, & anco dalla Porta del Giardino, quali passaggi si sono misurati, e terminati di palmi sedici di larghezza, quali strade, una viene dal Puntone della foresteria del Monasterio, un’altra dalla Salica dalla parte di Mercogliano a dirittura al Monasterio, un’altra viene da dietro le Camere del Monasterio, e tira a dirittura al prospetto del,Portone del detto Monasterio, e debbiano distare le baracche e taverne dalle due cantoni del Portone del Cortile palmi tre …
E si è anco convenuto, che il deoo S. Monasterio debbia concedere alla detta Casa Santa l’uso di due camere superiori delle dette quattro, che tiene in detto largo per giorni quindeci per ciascheduna delle dette due feste principali, cominciandi cinque giorni prima di ogni festa, & anco per il giorno di San Guglielmo, restando a carico di detto Sacro Monasterio serrar la porta di mezzo, che va alla terza camera per lo quale uso detta santa Casa debbia pagare a detto sacro Monasterio annui docati dieci … a patto espresso, che detta santa Casa non ci possa far riponere robbe vendibili da Forastieri, cioè, che non fussero di dette terre, e suoi vassalli.
E perché nel Cortile dentro murato il medesimo Monasterio tiene potestà e facoltà di vendere, e far vendere robba sua, & ad altri proibire, e dar licenza a chi li parerà, e piacerà in sano, & a minuto, come vero Signore e Principe; perciò a maggior cautela si dichiara, e si conviene, che li Compratori di pane, vino, e qualsivoglia altra cosa non possono essere impediti, né molestati in modo alcuno estraendo dal detto Monasterio in qualsivoglia parte le robbe, …”