Luigi Galanti, geografo e bibliofilo

Date:
20 Febbraio 2019

(di Paola de Conciliis)

La stretta connessione tra la Biblioteca di Montevergine e l’Archivio storico dell’abbazia rende possibile, talvolta, a chi vi lavora, indagare la storia dei libri conservati ab antiquo negli scaffali monastici, a partire da una traccia a volte molto labile.
La recente scoperta delle note autografe di Luigi Galanti su alcuni volumi, acquisiti in fase di recupero retrospettivo, ha fatto inserire questo studioso meno noto dell’ambiente illuminista napoletano nell’Archivio Possessori di Montevergine, che fu anche eletto al parlamento napoletano del 1820. Vissuto all’ombra della fama del fratello geografo Giuseppe Maria, il Galanti è stato recentemente rivalutato per la modernità dei suoi orientamenti didattici e della sua concezione politica e storica della geografia.

In base alle indicazioni contenute nella Storia di Montevergine di P. Giovanni Mongelli, che si riconferma insostituibile e quasi infallibile portolano per la ricognizione dell’Archivio verginiano, è stato possibile attingere alle notizie contenute nel carteggio del Galanti con l’abate generale Raimondo Morales, contenuto nell’ultimo fascicolo della busta 218 dell’archivio storico, e che va dal 17 settembre 1827 al 29 ottobre 1829. Dalle lettere del Galanti emergono particolari di grande interesse per la ricostruzione sia di vicende già rese note dal Mongelli stesso, e prima di lui dalla storiografia avellinese (Zigarelli, Boccieri), come la sua composizione del testo delle tre lapidi commemorative poste dal Morales nel Santuario e nel Palazzo di Loreto, sia di avvenimenti meno noti, che però riguardano i libri che la biblioteca forse ancora conserva. Questa fu al centro delle attenzioni dell’abate Morales, che la riformò e ristrutturò dopo la Restaurazione, facendone redigere di nuovo il catalogo, che tuttora si conserva nella busta 261 dell’archivio storico, e della cui cura lo stesso Galanti era stato incaricato prima di lasciare definitivamente la congregazione verginiana a seguito della soppressione del 13 febbraio 1807.
È la sua fama di letterato a spingere il Morales a chiedere all’ex confratello di redigere il testo poetico delle epigrafi che dovevano commemorare la venuta di Francesco I di Borbone e della famiglia reale al Santuario e il passaggio a Loreto, il 29 e 30 agosto 1826, in cui era stato visitato e apprezzato dal re anche l’archivio, alloggiato nelle eleganti salette settecentesche dovute all’abate Letizia. Poco più avanti deve esser richiesta anche la terza composizione, per una lapide da porsi al Santuario, che ricordasse la ricostituzione della giurisdizione ecclesiastica, ossia spirituale, concessa da Ferdinando IV nel 1815, poiché il testo inviato per ottenere il regio assenso è presente insieme alle altre due, ed è menzionato dal Marchese Tommasi, segretario di stato, nella corrispondenza col Morales.
Il Galanti accetta con orgoglio l’incarico e profonde nelle sue lettere sentimenti di affetto e gratitudine per l’abate, che chiama “rispettabilissimo amico e socio dilettissimo” e per il fratello Prospero Morales, all’epoca priore di Loreto, mentre non si risparmia nel seguire la realizzazione materiale delle tre incisioni su marmo, per le quali si rivolge ad artisti operanti presso il Real Museo Borbonico, Luigi Atticciati e Raffaele Piedimonte. È instancabile nel controllarli e sollecitarli, in un andirivieni tra la sua residenza napoletana in Salita Pontecorvo 90 e il Palazzo dei Regi Studi, e quando si trova nella casa di “campagna” a Capodichino, invia l’amico, cavalier de Jorio. Propone al Morales soluzioni decorative, lo contesta rispettosamente sul lessico latino quando questi sceglie la parola plebs, al posto del populus iniziale, motivando con sensibilità illuminata la sua scelta, che innalza la massa a soggetto storico e politico, come nella buona prassi degli antichi scrittori repubblicani: e cita la celebre locuzione senatus populusque. Rassicura continuamente il committente sulla qualità estetica dell’esecuzione. Infine predispone tutto per il trasporto e la posa in opera dei marmi.

Stemma di Raimondo MoralesA fianco del lavoro per le epigrafi emerge dalle missive del Galanti il racconto di una frenetica attività editoriale, sia sull’opera postuma del fratello Napoli e contorni, sia sulle sue proprie composizioni, che l’anziano studioso segue con notevole impegno, e sorprendente autocritica, nelle correzioni e nella scelta di caratteri e formati, e con immancabili dispute e delusioni rispetto all’operato dei tipografi napoletani, che sappiamo essere Borel e co. per l’opera geografica, e Marotta & Vanspadoch. A questi ultimi è affidata la stampa delle Constitutiones dioecesanae Synodi, il risultato dell’importante sinodo celebrato dal restaurato abate Morales nel 1829, di cui il Galanti è incaricato di curare e rivedere l’edizione, e che è oggi conservato nella nostra Biblioteca in più esemplari. Per il frontespizio di questa pubblicazione Galanti scrive al Morales di aver fatto disegnare dai suoi amici incisori un nuovo stemma abbaziale, che possiamo oggi apprezzare, in cui risaltassero meglio le figure araldiche della volpe e della quercia, e di avervi apportato personalmente migliorie.

Parallelamente, Galanti, insieme inorgoglito dal successo delle sue iscrizioni poetiche per Montevergine e animato dall’attaccamento nostalgico per il “suo” monastero, decide di pubblicarne il testo facendolo seguire da quello che chiama, scrivendone al Morales, un Cenno storico o Ragguaglio che, partendo dalla cronaca della recente visita regale ripercorra a ritroso la storia dei rapporti tra Montevergine e i sovrani del passato. A tale scopo chiede all’abate di inviargli le necessarie notizie e riferimenti, tratti presumibilmente dalle pergamene e dai cronisti antichi, di cui poi non mancherà di sottolineare le imprecisioni e ingenuità, alla luce della sua “moderna” competenza storica. Quando il testo è pronto, mentre sottopone all’abate le bozze del Sinodo, gliene invia la prima stesura, e afferma di averlo sottoposto a “qualche amico intelligente”, al quale “è piaciuto il modo da me tenuto”. Difende la propria concisione e semplicità agli occhi dell’amico, che pure cerca in tutti i modi di compiacere, e abbozza quasi una presa di posizione in una immaginaria nuova disputa tra “atticisti” e “asianisti”. Il Ragguaglio è sicuramente lodato e approvato dal Morales, che intende assumersi l’onere di stamparne qualche centinaio di copie. Possiamo seguire dalle lettere di Galanti tutte le scelte tecniche e formali, dalla qualità della carta a quella delle legature, i grattacapi editoriali e i continui rinvii della consegna delle copie, che vengono consegnate un po’ alla volta, in parallelo al quelle del Sinodo. Le più preziose sono destinate ai membri della corte e alla curia romana, come sempre accade per una pubblicazione d’occasione un tot vengono richieste da amici e conoscenti, e le restanti sono inviate a Montevergine. È a nostro avviso sintomatico di un’etica e di una corrispondente estetica editoriale, per così dire, il post scriptum che Galanti appone alla lettera del 29 agosto 1829, che sembra chiudere la vicenda editoriale del Ragguaglio, mentre quella del Sinodo è ancora in corso tra errori e correzioni: “sarei di opinion che non spendeste tanto danaro per legature. Oltre le cinque copie di tre carlini ve ne potrebbero bastare una quindicina o ventina di quelle verdi di due carlini, e le altre colla semplice coperta. Nel Ragguaglio si regala, va la scorza più che la sostanza, ma pel Sinodo è l’opposto, e non si tratta di affare di galanteria come pel primo”.

Infine, dalle righe scambiate con l’abate Morales nel corso dell’estate del 1829 apprendiamo che tra le conoscenze del Galanti vi erano la principessa di Marzano e sua figlia, principessina di Cursi, domiciliate nella stessa Salita Pontecorvo a Napoli e a cui egli offre ospitalità in “villeggiatura” a Capodichino. La principessa di Marzano offre in vendita la biblioteca ereditata dalla madre, principessa di Centola e Galanti, mostrando un notevole spirito di iniziativa, mette a parte l’abate dell’affare che si prospetta per incrementare l’amata biblioteca di Montevergine. Segnala subito alcuni autori, tra cui Mabillon, Baronio e S. Agostino, insistendo sulla buona qualità degli esemplari e sul prezzo conveniente, poi in una lettera successiva, recando i consueti saluti delle nobildonne, riferisce che  esse ricercano un compratore per “il resto della libreria”, quasi che per alcuni volumi si fosse già raggiunto un accordo con Morales, e lascia intendere all’abate che “unendo le due commissioni”, cioè procurando anche un altro acquirente, si sarebbe potuto risparmiare ulteriormente sul prezzo dei libri. Ma se la transazione andò a buon fine non ci è dato sapere.
Non sappiamo nulla della biblioteca di Centola, né della casata a cui apparteneva la proprietaria, pertanto ad ora non è possibile identificare uno stemma tra i tanti che si trovano sui frontespizi del materiale antico conservato a Montevergine. Quanto al Ragguaglio, le copie stampate cominciarono ben presto il loro viaggio verso gli illustri destinatari, come ci testimoniano le numerose lettere di ringraziamento indirizzate all’abate Raimondo Morales, piene di complimenti per il prezioso dono, che abbiamo trovato nel citato fascicolo della busta 218. Le copie pervenute al monastero si conservano ora presso la Biblioteca (clicca qui per consultare l’opac).