La decorazione pittorica del soffitto della sala degli stemmi nel Palazzo Abbaziale di Loreto in Mercogliano

Date:
5 Febbraio 2014

L’architetto irpino Giuseppe De Luca, da noi richiesto di una descrizione della decorazione da lui eseguita in una sala al piano terra del Palazzo Abbaziale di Loreto, ci ha cortesemente fatto pervenire questa interessante e articolata relazione, che molto volentieri pubblichiamo, corredandola da foto degli stemmi, anche queste gentilmente concesseci dall’autore

Descrizione della decorazione pittorica del soffitto della sala degli stemmi nel Palazzo Abbaziale di Loreto in Mercogliano (AV)

(di Giuseppe De Luca)

Il programma più squisitamente decorativo, a me affidato nella metà del 2007 e concluso nel 2009, che orna la cosiddetta sala degli stemmi, già sala del parlatorio della portineria del palazzo abbaziale di Loreto in Mercogliano, è costituito dalla decorazione dipinta eseguita ex novo sull’intonaco della originaria volta ad incannucciata settecentesca. Questo soffitto voltato “a schifo”,  e cioè, piano nella parte centrale e perimetralmente raccordato a “padiglione” alle quattro pareti laterali, era in precedenza privo di qualsiasi intervento pittorico. La tecnica usata per la decorazione è quella della tempera a secco, eseguita con gli ossidi e le terre colorate veicolate in acrilico ed acqua distillata. I  pigmenti adoperati sono gli stessi che solevano usare i decoratori del passato, fatta eccezione per il “medium” cioè il fissativo dei colori,  non potendo più essere utilizzata una sostanza naturale come  l’uovo o la caseina usati nell’antichità e tendenti a marcire se non adoperati tempestivamente. Anche la tecnica usata per laBorbone Due Sicilie stesura del disegno (sinopia), successivamente ripreso a pennello, è quella tradizionale costituita dall’approntamento di disegni e cartoni preparatori successivamente riportati a “spolvero” sull’intonaco.

Venendo ora all’impostazione di tale decorazione, nata dalla semplice idea di dipingere alcuni stemmi abbaziali e regali, successivamente, fu trasformata in un progetto compositivo molto più ambizioso. Tale programma decorativo è ispirato alla pittura ornamentale del Settecento napoletano, esso è pensato a guisa di una illusionistica copertura con aperture che sfondano a cielo aperto, simile a quella del Vecchione  nell’androne del palazzo, ed  in tale struttura architettonica illusionistica (trompe l’oeil) trovano collocazione, quasi  come gioielli incastonati, alcuni stemmi legati alla storia della congregazione ed ai fautori della costruzione del palazzo abbaziale di Loreto. Nella parte curva della volta si distinguono tra putti che giocano con festoni di melagrane, i blasoni reali dei Borbone di Napoli e della Casa Sabauda che regnò dopo l’unità d’Italia, un riferimento alle due ultime case reali con le quali Montevergine ebbe strette relazioni. In particolare voglio sottolineare la presenza delle melagrane dei festoni decorativi sulla volta e molto presenti in tutti i miei lavori, un frutto a me molto caro, l’ultimo frutto che matura in inverno, esso è intriso di simbologie e di significati che da millenni affondano le radici nel mito, un frutto che per una sorta di sincretismo religioso è divenuto caro alla tradizione cristiana, da simbolo di fecondità pagano a simbolo di perfezione divina e di amore ardente (nel Sabaudorosso dei grani), umiltà, carità e unione di tutti i figli della Chiesa.

Tornando ai blasoni delle case regnati, a quest’ultimi si contrappongono lo stemma generale abbaziale e quello personale dell’abate corrente. Fanno corona a questi stemmi, alcune figure allegoriche rappresentate con i loro attributi identificativi classici, che in ordine, così si susseguono: sul lato dello stemma borbonico del Regno delle Due Sicilie sono collocate, rispettivamente a sinistra, la Virtù Cardinale della Fortezza, armata di corazza e cimiero e nell’atto di reggere una colonna, a destra dello stesso stemma, la Virtù Cardinale della Giustizia che reca i simboli di una bilancia e di una spada. Di fronte è lo stemma sabaudo, contornato a sinistra, dalla Virtù Cardinale della Prudenza che si guarda le spalle attraverso uno specchio, mentre sul braccio ha un serpente attorcigliato a ricordo di un consiglio evangelico di nostro Signore che raccomandava di essere candidi come colombe ed astuti come serpenti; a destra del blasone sabaudo è invece riconoscibile l’allegoria della Virtù Cardinale della Temperanza nell’atto d’immergere con una pinza un elemento incandescente, invitando simbolicamente alla riflessione ed a smorzare gli animi troppo accesi. Gli altri due lati della sala sono completati dalle allegorie delle Virtù Teologali che affiancano lo stemma generale di Montevergine e che presenta a sinistra, la Virtù Teologale della Fede rappresentata con la croce ed il calice eucaristico, mentre a destra è visibile l’allegoria della Virtù Teologale della Speranza tenente l’ancora; si contrappone a questa parete quella che reca lo stemma rimasto momentaneamente vuoto e che dovrebbe accogliere lo stemma abbaziale, affiancato a sinistra, dalla allegoria della Virtù Teologale della Carità con i pargoletti in braccio e a destra, l’Allegoria della Grazia Santificante che elargisce i doni dello Spirito Santo, rappresentati dal latte che sgorga dal seno dell’allegoria, nella più classica rappresentazione che la vede accomunata alla ben nota iconografia della Madonna delle Grazie, ugualmenteMontevergine rappresentata con un seno scoperto da cui sgorga il prezioso latte. Tutte le allegorie siedono adagiate su elementi architettonici angolari arricchiti da vari elementi decorativi e simbolici come il “bucranio” un teschio di bue, desunto dal repertorio della decorazione classica antica e ripresa nell’epoca rinascimentale anche da Michelangelo per la Sistina, e secondo alcuni studiosi, data la forma vagamente richiamante quella dell’utero femminile, avrebbe perciò una forte connotazione simbolica di fecondità e quindi augurate benessere e prosperità, simbolismo accentuato dalla cascata di frutta e fiori che ognuno dei bucrani vomita. Al di sotto, delle torce, simbolo della sapienza e della conoscenza pentecostale, illuminano una conchiglia retrostante come fosse un riflettore ed ancora, la conchiglia quale simbolo mariano, è molto presente nell’intera decorazione come richiamo che rimanda alla figura della Vergine presente al centro della volta.

Le architetture illusionistiche proseguono quindi nella parte piana del soffitto, anche qui si distinguono alcuni stemmi, sono quelli degli ultimi otto abati sublacensi, come si entra nella sala, in ordine ed in senso antiorario partendo dalla allegoria della Prudenza, così leggiamo lo stemma dell’ abate Corvaia, Grasso, Marcone, Tranfaglia, D’Amore, Gubitosa, Tamburrino e Nazzaro.  In più fanno bella mostra di sé, i quattro stemmi di alcuni degli abati antichi che più hanno caratterizzato la storia del palazzo e della comunità monastica, quindi partendo sempre dall’allegoria della Prudenza, in senso antiorario, a decoro di altrettanti finestroni curvilinei, leggiamo lo stemma dell’abate Federici, promotore della costruzione del palazzo, l’abate Letizia, l’abate Iacuzio e quello dell’abate Guglielmo De Cesare, ultimo abate Verginiano.

Infine, al centro della volta, tra vasi fioriti, si apre l’apertura maggiore di questa illusionistica copertura, attraverso la quale campeggia nel cielo  la Vergine Assunta, verso la quale un angelo fa cenno di porgerle un medaglione con l’effige di “Mamma Schiavona”, mentre un altro angelo regge uno svolazzo che reca una scritta in latino, inneggiante alla Vergine, e che recita così:  “MARIA VIRGINE MATREQUE, TE QUAM AMOR EFFUNDIT,  QUAE TAM PULCHRITUDINEM IN UNIVERSUM DIFFUNDIS” e cioè  “o Maria Vergine e Madre, quanto amore promana da te, tanto quanta è la bellezza che diffondi nell’universo”.  Tutta la scena è poi  contemplata in basso da un giovane S. Guglielmo affiancato dai simboli pastorali.