Giorgio Amendola e Bernard Johannowsky: due personalità del ‘900 riscoperte nei libri della Biblioteca di Montevergine

Date:
26 Agosto 2021

(di Giuseppe Macchia)

Quante volte da bibliotecari, o apprendisti bibliotecari, o come vogliate definirci, abbiamo sentito la frase: “ah, che bello vivi in mezzo ai libri!”, come se la cultura che i libri racchiudono per trasfusione endovenosa potesse passare a noi, oppure più semplicemente, vivendo in mezzo ai libri, molti credono che passiamo il tempo lavorativo della biblioteca  a leggerli…
In mezzo a duecentomila volumi posseduti dalla Biblioteca Statale di Montevergine, di cui pochissimi letti, ne vorrei qui presentare uno: Una scelta di vita, di Giorgio Amendola, e anche segnalare il legame dell’autore con la libreria Detken & Rocholl di Johannowsky, la cui preziosissima collezione di libri, di stampe e di oggetti d’arte è venuta nel secondo Novecento ad arricchire i fondi della Biblioteca Statale di Montevergine.
Il volume che ho letto fa parte del fondo Capodanno della biblioteca, un’altra preziosissima donazione avvenuta nel 2012 per volontà della signora Gigliola Volpe, in memoria del defunto consorte, Michele Capodanno, giunta assieme agli scaffali della bellissima libreria; si tratta della prima edizione della Rizzoli del 1976 con in copertina Una domenica al Pincio, del pittore e amico di famiglia degli Amendola, Armando Spadini.Giorgo Amendola
Giorgio Amendola fa la sua scelta di vita nel 1929 quando si iscrive al Partito Comunista Italiano, ed il libro è un’autobiografia degli anni giovanili e una fotografia di Roma e Napoli dei primi decenni del secolo, prima delle devastazioni edilizie che hanno modificato per sempre il volto delle due città, in primis di Napoli, con la perdita irreversibile di quei paesaggi “dell’anima” tante volte tracciati da Pitloo e Gigante, che rendevano Napoli un paradiso in terra. Una scelta di vita è innanzitutto una scelta di antifascismo e resistenza, e le vicissitudini  e drammi della vita dell’autore sono quelli dell’Italia dalla crisi politica di inizio secolo che ha portato alla nascita del regime fascista, con le nefaste conseguenze per un paese intero. Scelte pagate in prima persona  dall’autore con la morte del padre Giovanni Amendola in esilio a Cannes nel 1926, in seguito al pestaggio subito da una squadra fascista durante un soggiorno a Montecatini Terme. Lo stesso Giorgio subirà la privazione della libertà e  proverà su di sé il dramma del confino, dell’esilio e del carcere. Emerge dal libro lo stretto rapporto col padre Giovanni Amendola, una delle più prestigiose figure del liberalismo e della democrazia parlamentare prefascista, fatto di discussioni, di posizioni diverse, che non sempre si sono incontrate, sia per l’acerba visione politica del giovane Giorgio che soprattutto per la precoce scomparsa di Giovanni, che comunque ha costituito per il figlio un riferimento costante di levatura morale (termine nostalgico a cui sono stati e sono allergici molti politici della Repubblica Italiana).
Gli anni romani, prima che il giovane Giorgio fosse affidato alle cure dello zio Mario a Napoli a causa della morte del padre, sono gli anni degli incontri con quelli che diventeranno gli amici di una vita, in prima linea contro il fascismo; sono gli anni degli incontri con gli amici del padre, fondamentali per il confronto politico, ma anche con personalità che avevano aderito o aderiranno al fascismo e legate all’ambiente culturale romano della madre di Giorgio, la poliglotta lituana Eva Kühn, all’epoca scrittrice e traduttrice dal russo. Tra Roma, Napoli e Capri , Giorgio incontra personaggi quali Croce, Nitti, Fortunato, Giacomo Balla, Armando Spadini, D’Annunzio, Emilio Sereni, Colorni, Cassola, i Rosselli, Roberto Bracco, Maksim Gor’kij, Stefan Zweig, Marinetti, Ciano,  Papini, Prezzolini, Missiroli, Albertini, Marone, Scaglione e altri ancora.
Anche la storia di Eva Kühn ha segnato profondamente il giovane Amendola, sia per l’incontro col fervente ambiente culturale della capitale, ma soprattutto per la malattia, causa di numerose crisi nervose, che la faranno ricoverare per molti anni in case di cura.
Dopo una prima crisi manifestatasi nel 1904 che la rende incosciente per alcuni mesi in una casa di cura, sarà la stessa Eva a raccontare nel suo bellissimo libro Vita con Giovanni Amendola, uscito nel 1960: «Mi ammalai all’improvviso di una strana febbre cerebrale e rimasi senza coscienza per alcuni mesi in una casa di salute». Questa crisi si ripete nel 1922, durante la marcia su Roma, a seguito del viaggio di ritorno da Vilno dove i racconti  dei familiari, secondo Giorgio, sulle «ferocie compiute dai rossi la colpirono duramente», e viene nuovamente ricoverata in clinica. Dimessa e ricoverata nuovamente nello stesso anno, la difficile situazione di precarietà in cui versavano gli Amendola, soprattutto a causa del crescente clima di ostilità nei confronti del marito Giovanni, baluardo dell’antifascismo, sfocerà nell’aggressione squadrista che ne causerà la morte. Dalla clinica  uscirà dieci anni dopo, e solo allora saprà della morte del marito, e del dolore indescrivibile provato in quel momento dà testimonianza ancora nel libro dedicato al coniuge.
Una scelta di vita è un libro da leggere e da far leggere per contrastare i numerosi tentativi di riscrivere la storia, accompagnati da una strisciante e ugualmente crescente volontà di affermare l’esistenza di un fascismo buono, e vorrei ricordare qui le parole di Giovanni Amendola, scritte in una lettera del 1925 a Filippo Turati, dopo l’aggressione fascista avvenuta a luglio a Montecatini, e che appaiono oggi come la visione di un oracolo: «Carissimo Turati, in questa solitudine natalizia, allietata per noi dalla tranquilla coscienza, possiamo scambiarci più fervidamente del consueto gli auguri che vengono dal cuore e, soprattutto, possiamo rallegrarci tra noi di aver tenacemente preferito la causa dei vinti a quella che avrebbe perduto le nostre anime. Non occorre la fede invitta di cui possiamo ringraziare la Provvidenza, basta sapere e pensare che “tutto si muove” per essere certi che un giorno la “causa dei vinti” sarà la “causa dei vincitori”. I figli ed i nipoti benediranno la memoria di coloro che non disperarono e che nel folto della notte più buia testimoniarono per l’esistenza del sole […]»
A Napoli presso lo zio Mario, Giorgio continua i legami con l’ambiente antifascista, si laurea in giurisprudenza e nel frattempo, per rendersi indipendente, diventa commesso nella prestigiosa libreria Libreria Detken&Rocholl di B. JohannowskyDetken & Rocholl di Bernard Johannowsky. Nella libreria Giorgio conosce persone straordinarie come Renato Caccioppoli, Antonio Sarno e Emilio Sereni. Vi lavorerà per due anni, dal 1929 al 1931, in quello che definisce «l’antro dei tesori», dove «vi erano custoditi i volumi più preziosi, certe marine e stampe antiche e centinaia di guaches originali dell’inizio dell’Ottocento. Johannowsky era in rapporto diretto con le maggiori librerie antiquarie d’Italia (Lubrano, Hoepli, Olski, Rappaport), e del mondo, […] le rare volte che si rassegnava a privarsi di qualcuno dei suoi tesori egli ne soffriva veramente». Una considerevole parte di questo tesoro è oggi custodita presso la Biblioteca Statale di Montevergine.
Un elenco complessivo, ma ahimè non dettagliato, ci è fornito dall’indimenticato padre Placido Mario Tropeano nel volume: Civiltà del Partenio. La Biblioteca di Montevergine nella cultura del Mezzogiorno, 1970, due anni dopo l’acquisto in blocco della libreria Johannowsky da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, a un prezzo irrisorio rispetto al suo valore, grazie all’intercessione proprio di padre Tropeano per la sua amicizia con Bernard Johannowsky.
«La sezione  Johannowsky […] costituisce il fondo librario più importante giunto alla Biblioteca di Montevergine in tutto l’arco della sua storia». Un patrimonio librario con annesse stampe, quadri e vari oggetti di arredamento, di cui riportiamo parte dell’elenco di Tropeano: 25.714 unita librarie, 4870 volumi di produzione francese, 4814 tedesca, 3541 inglese; 470 volumi di lingua spagnola, russa, olandese, svedese ed araba; 609 volumi tra enciclopedie, dizionari e grammatiche, 350 annate complete di riviste varie; 10948 volumi in latino ed italiano, circa quattromila titoli riguardanti Napoli ed il Regno delle Due Sicilie e le monumentali opere di argomento pompeiano ed ercolanese.
Come singoli pezzi, Tropeano ci ricorda che si possono citare: un papiro in dieci tavole, del IV sec. a. C. e «che attualmente, per una migliore conservazione ed uno studio più approfondito, è stato affidato alla Biblioteca Nazionale di Napoli»; due manoscritti siriaci, di cui uno, la Storia del Sultano Mahumed, nel testo e nella figurazione risente l’influenza dei due grandi poemi epici indiani, il Mahabharata ed il Ramyyana; un manoscritto copto; due libri d’ore; l’autografo con disegni delle Noterelle di viaggio del Carlo de Notaris, in quattro volumi; platee di interesse monastico o di singoli cittadini e documenti vari; un incunabolo, autore Baptista de Salis, Summa casuum conscientiae quae Baptistiniana nuncupatur datato 1499; centoundici cinquecentine, tra cui un commentario sulle Tusculanae del 1502.Johannowsky_ms
Per il papiro Johannowsky va precisato che fu affidato alla Biblioteca Nazionale di Napoli non solo a fini conservativi come ci ricorda Tropeano, anzi affinché facesse parte dell’Officina dei Papiri Ercolanesi, come scrive Gianluca Del Mastro nella rivista italiana di egittologia e papirologia, Aegyptus. Il documento a firma del direttore della Biblioteca di Montevergine, padre Placido Tropeano, datato 8 novembre del 1968 con numero di protocollo 821/68 riportava queste parole: «Il sottoscritto P. Placido Mario Tropeano consegna al dott. Fittipaldi Massimo un papiro facente parte del fondo Johannowsky, acquistato dal Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale delle Accademie Biblioteche e per la Diffusione della Cultura, per la Biblioteca del Monumento Nazionale di Montevergine. Detto papiro, con intesa dello stesso Ministero, dovrà far parte della raccolta dei papiri conservata nella Biblioteca Nazionale di Napoli».
Della prestigiosa collezione di stampe, carte geografiche e disegni, progetti, la maggior parte è sistemata in apposite cassettiere nella sala C della Biblioteca in attesa di una catalogazione online e sistemazione più adeguata. Della collezione di stampe un importante ciclo della “Passione di Cristo”, con incisioni dal XVI al XIX secolo, che vanta artisti come Dürer, Solimena, Philip Galle, Ribera, Piranesi, Giovanni Strada, La Marra, Carlo Maratta, e tanti artisti neoclassici e del primo Ottocento, secondo Alfredo Marzano, che a fine anni ’80 scriveva sul bollettino del Santuario di Montevergine, è oggi inventariato e conservato presso l’archivio monastico di Montevergine, come si evince anche da articoli recenti presenti nella stessa rivista.
Una precisazione va fatta anche per quanto riguarda l’incunabolo di Baptista de Salis, Summa casuum conscientiae quae Baptistiniana nuncupatur, 1499, indicato da padre Placido Tropeano in La Biblioteca di Montevergine nella cultura del Mezzogiorno come pezzo di grande importanza dell’acquisto-dono Johannowsky: è stato inventariato due anni dopo il suo ingresso in biblioteca, nel 1970, e registrato come fondo monastico. Presumo che vi sia stato un errore da parte di chi ha registrato il volume, dato che Tropeano è l’artefice principale e colui che ha reso possibile questo arricchimento della Biblioteca di Montevergine.
La libreria internazionale Detken fu inaugurata nel 1835 in un locale di proprietà reale sotto i portici della chiesa di San Francesco di Paola; Alberto Detken, impiegato in una libreria di Amburgo, due anni prima durante una crociera nel Mediterraneo assieme allo scrittore Augusto von Platen, fermandosi a Napoli ed entrando in contatto col circolo culturale capeggiato da Leopardi e Ranieri, era stato informato della mancanza nella capitale del regno di una libreria di respiro internazionale. A tale vuoto decise di porre rimedio qualche tempo dopo. Accanto alla libreria fu installata una legatoria con artigiani locali, francesi e inglesi che, come ci ricorda Tropeano, si specializzò in legature in marocchino, pelle, pergamena o velluto con stemma in oro, considerate come capolavori della legatoria napoletana dell’epoca. Nel 1862 Detken, che nel frattempo si era sposato con Elisabetta Rocholl, assunse il cognato, professore all’università di Gottingen, quale socio e spostò la libreria nel palazzo della Foresteria reale, oggi della Prefettura, che si chiamò: “Libreria internazionale Detken & Rocholl”. Fu poi la volta di Bernard Johannowsky, noto giornalista, corrispondente della Zeit di Vienna, entrato come collaboratore nel 1903, poi come socio nel 1908 ed in fine come proprietario nel 1912. Con Johannowsky, la libreria si arricchì di una sezione di antiquariato, diventando un centro letterario e luogo di incontro con personaggi come Di Giacomo, D’Annunzio e la Serao, ma anche artisti come Scarpetta, Geraci, Dalbono, Chiaromonte e tanti stranieri di passaggio a Napoli come Ibsen, Gor’kij e Sándor Márai. Il suo splendore durò fino alla seconda guerra mondiale, con la degna celebrazione del centenario nel 1936 con una mostra al Maschio Angioino; durante la guerra la libreria fu chiusa e il materiale più prestigioso trovò riparo negli scantinati della Biblioteca Nazionale, come testimoniava Tropeano: «circa quattrocento casse con oltre trentamila volumi». Con la fine della guerra Johannowsky voleva rilanciare la libreria, ma diverse difficoltà presentatesi, come lo sfratto dal palazzo della Prefettura, come scrive Amendola: «operato da un prefetto che per motivi di ordine pubblico non tollerava la presenza al pianterreno della prefettura di un centro di vita e di cultura, comportandosi peggio di come si erano comportati i prefetti fascisti», spinsero l’anziano proprietario a ritirarsi a vita privata in un appartamento all’inizio di via Cilea al Vomero. Il “tesoro” Johannowsky lo aveva sistemato in parte riempiendo l’appartamento e in parte in un magazzino dello stabile. Per venti anni si erano perse le tracce della prestigiosa libreria, simbolo di un passato glorioso, ma a scadenza regolare comparivano sul mercato antiquario prestigiosi volumi di quel “tesoro”, alcuni riconosciuti anche da padre Tropeano che, rimessosi di nuovo in contatto con Johannowsky, gli propose di acquistare in blocco quello che restava della prestigiosa collezione. Bernard Johannowsky si spense malinconicamente l’8 febbraio del 1968, poco dopo l’acquisto-dono alla Biblioteca di Montevergine, chiudendo così un cerchio aperto da corrispondente della Zeit che si era recato a Montevergine stilando articoli, con foto, sulla bellezza della natura e sul folklore legato alla Madonna di Montevergine.