Basteranno 25 nuovi bibliotecari?

Date:
2 Giugno 2016

(di Domenico D. De Falco)

Per un non breve periodo, fino a poco fa, i bibliotecari italiani si sono esercitati in un dibattito (che ad alcuni è parso un ameno trastullo) su che cosa avessero potuto diventare anche le biblioteche italiane, cioè se dovevano o no provare ad offrire, oltre ai servizi che tradizionalmente ci si aspetta da una biblioteca, anche altre opportunità, professionali o di svago, quali ad esempio bar, ristoranti e attività varie.

A questo dibattito c’è stata un’ampia e articolata partecipazione, almeno fin quando è stato in qualche modo sostituito nell’attenzione dei bibliotecari da altre più impellenti questioni. Una di queste è rappresentata sicuramente dalle recenti dimissioni dal Comitato tecnico-scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali di Mauro Guerrini, Luca Bellingeri, Gino Roncaglia, Paolo Matthiae e dal Consiglio superiore dei beni culturali di Giovanni Solimine, a seguito dell’emanazione del bando di concorso per ben 500 funzionari presso il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, di cui soltanto 25 posti riservati agli aspiranti bibliotecari. Alla luce delle clamorose dimissioni di massa, largamente condivise non soltanto in ambito bibliotecario, la dissertazione sulla natura delle biblioteche suggerisce alcune osservazioni che proviamo a proporre alla comune riflessione attraverso le pagine di questo sito.

La prima è che quel dibattitto è sembrato (con il senno di poi, ma qualche sentore l’avvertivamo anche mentre era in corso) una discussione puramente accademica, anzi di fatto sovradimensionata rispetto al reale stato in cui ancora versano le biblioteche italiane; nonostante la tenacia e in alcuni casi addirittura l’accanimento, della questione se le biblioteche dovessero avere o no anche un bar (semplifichiamo per amor di sintesi), tra i bibliotecari e gli addetti di biblioteca non gliene fregava niente a nessuno (chiediamo scusa per la banalità e la rozzezza dell’espressione), per lo meno questa è l’impressione da un osservatorio limitato, è vero, ma comunque significativo. E questo un po’ perché c’era sempre ben altro a cui pensare durante le normali giornate di lavoro in biblioteca, cioè continuare a far fronte alle richieste di utenti, in presenza e da remoto, con mezzi sempre più scarsi e con risorse di personale ormai ridotte al lumicino, continuare a pensare alla conservazione, salvaguardia e valorizzazione del patrimonio posseduto fidando solo sulla propria buona volontà e disponibilità… Un po’ perché crediamo (senza voler far torto a nessuno) che per buona parte i bibliotecari e gli addetti alle biblioteche non posseggano (o non abbiano ancora maturato) gli strumenti minimi necessari per “capire” l’opportunità, l’importanza di una tale discussione e soprattutto per essere invogliati ad intervenire per esprimere un punto di vista interno. Forse tra i bibliotecari manca uno spirito corporativo, una comune consapevolezza del proprio lavoro e del proprio ruolo all’interno di una comunità, ma sta di fatto che sembrano prevalere normalmente questioni legate al funzionamento quotidiano della biblioteca, se non alla propria agognata –e sempre più sfuggente- pensione o all’ormai chimerico rinnovo dei contratti. Perciò hanno facile gioco le Amministrazioni da cui le biblioteche dipendono a chiudere i servizi, a non rinnovare i contratti e a continuare a proporre (come fa il MiBACT) improbabili progetti di aperture straordinarie, episodiche ed estemporanee, che servono solo a concedere delle elemosine agli impiegati per tenerseli buoni ancora un po’…

A proposito dell’altra questione non resistiamo alla tentazione e sveliamo qual è il nostro pensiero, e cioè: mentre i bibliotecari svolgevano l’ameno dibattito, il Governo italiano aboliva brutalmente le Province cancellando in un sol colpo realtà bibliotecarie locali fortemente radicate sul territorio e punto di riferimento a livello nazionale, e al Ministero della Cultura (il MiBACT, da cui dipendono le biblioteche pubbliche statali) si inanellava un pasticcio dietro l’altro con una revisione degli organici che ha portato infine a generare quel mostro di concorso pubblico per 500 funzionari, di cui solo il 5% bibliotecari.

Complice l’equivoco, che da alcune parti con perfido calcolo si alimenta, di un imminente avvento dell’era totalmente digitale, il che manderebbe in soffitta le biblioteche, la situazione delle biblioteche italiane è fatta di bibliotecari anziani, di collezioni non più aggiornate, di computer che sono delle vecchie trappole…, ma a dispetto di tutto ciò si continua ad offrire un più che dignitoso servizio.

(Ci viene ora il dubbio che per continuare a sopravvivere le biblioteche debbano veramente ampliare la propria offerta di servizi, quindi bar, corsi di yoga, corsi di pittura -e i libri si scaricherebbero da internet).

Infine, poiché i figli, ventenni e poco più, sostengono con vigore e dunque convinzione che la vita dei siti web in genere (a meno che non vi si vendano smartphone) è destinata ad essere sempre più solitaria ed essi stessi poco o affatto consultati, in quanto tutto ciò che c’è da far sapere e da sapere lo si comunica e lo si legge sui canali social, ebbene per questo motivo, contrariamente alle nostre abitudini (dettate evidentemente da convinzioni destinate a dover essere aggiornate), la notizia della pubblicazione di questo articolo nella rubrica Una finestra sulla biblioteca la diamo anche attraverso i canali Facebook e Twitter della Biblioteca. Poi sapremo quanti ci avranno letto.