1176-1178

Dal Codice Diplomatico Verginiano, a cura di Placido Mario Tropeano (Montevergine, Padri Benedettini, 1983)

 

601. CARTULA VENDITIONIS
1176 – agosto, ind. IX (X), Montesarchio
Giovanni figlio del fu Urso Sica e il cugino Pietro, abitanti nel vecchio castello di Montesarchio, vendono un pezzo di terra ad Ugo di genere anglo, abitante nel castello di Bucciano, realizzando una certa quantità di tareni di moneta corrente amalfitana.
(Originale, PERGAMENA N. 604, mm. 227×255; scrittura beneventana).

602- SCRIPTUM OFFERTIONIS
1176 – [settembre – dicembre], ind. X, Lapio
I fratelli Atto e Giovanni, figli del fu Govanni, e le rispettive consorti di nome Maria e Floriadesa, per la salvezza delle anime loro e dei loro antenati, offrono al monastero di Montevergine, nelle mani dell’abate Giovanni, un pezzo di terra sito nelle pertinenze del castello di Lapio dove si dice Cesine; in cambio ricevono dall’abate 12 tarì salernitani, una vacca e l’assicurazione di partecipare ai meriti delle preghiere monastiche.
(Originale, PERGAMENA N. 612, mm. 234×320; scrittura beneventana).

603. CARTULA VENDITIONIS
1176 – settembre, ind. X, Sarno
Giovanni Caballero, figlio del fu Riccardo detto de Marozza, col consenso del vescovo Giovanni ed alla presenza del giudice Enrico, vende a Sarno de Angela figlio del fu Pietro de Sasso un pezzo di terra arbustata, sito nelle pertinenze di Sarno dove si dice San Pietro, realizzando la somma di 28 tarì salernitani.
(Originale, PERGAMENA N. 605, mm. 388×277; scrittura beneventana).

604. CARTULA ALIENATIONIS
1176 – settembre, ind. X, Capua
Agnese figlia del fu Giovanni, abitante nella città di Capua, col consenso del marito Giovanni Romano, che le funge da mundoaldo, vende a Suffriana figlia del fu Donato Cicino, abitante a Lagno dove si dice Tosti, un pezzo di terra in parte edificatorio sito nella detta località Tosti, realizzando la somma di 29 tarì aurei di moneta corrente amalfitana.
(Originale, PERGAMENA N. 606, mm. 292×390; scrittura beneventana).

605. BREVE RECORDATIONIS
1176 – settembre, ind. X, Castelcicala
Prefetto, priore della chiesa di Santa Maria del Plesco, chiede ai giudici Riccardo e Pietro di voler legalizzare le ultime volontà di Marino, il quale sul letto di morte, ma nel pieno possesso delle sue facoltà ed alla presenza di due testimoni, dichiarò il figlio Giovanni erede universale dei suoi beni, ad eccezione di tre pezzi di terra che lasciò in usufrutto alla moglie Dulcera, ma che dopo la morte di questa sarebbero dovuti passare in proprietà della chiesa di Santa Maria del Plesco; la stessa donna sua vita natural durante avrebbe dovuto versare a quella chiesa il canone annuo di un provesino; i giudici, dopo aver ascoltato e sottoposto a giuramento i testi, ordinano al notaio Guglielmo di redigere il relativo atto di cautela e di garanzia.
(Originale, PERGAMENA N. 607, mm. 255×325; scrittura beneventana).

606. CARTULA VENDITIONIS
1176 – 13 ottobre, ind. X, Troia
Premesso che Silvestro, sacerdote al servizio della chiesa di San Bartolomeo di Foggia, sul letto di morte ma nel pieno possesso delle sue facoltà, aveva fatto testamento e tra le altre disposizioni aveva ordinato che la sua casa fosse venduta per utilizzare il ricavato in opere pie a suffragio della sua anima, gli esecutori testamentari, da lui indicati nelle persone di Giovanni Ferrario del diacono Zoffo e di Pietro Cerra, vendono quella casa al notaio Ruggiero, realizzando la somma di 16 once di tarì siciliani.
(Originale, PERGAMENA N. 608, mm. 274×420; scrittura minuscola rotonda di transizione).

607. MEMORATORIUM [PASTINATIONIS]
1176 – ottobre, ind. X, Summonte
Il Monaco Rossemanno, preposito dell’abbazia di Montevergine, cede in fitto perpetuo a Sirrerio un pezzo di terra, in parte coltivato a querceto e castagneto ed in parte ancora vacuo, sito nella località Terolano, con l’obbligo di coltivare e far fruttificare il querceto ed il castagneto e di corrispondere la metà delle ghiande e delle castagne, di trasformare nello spazio di otto anni la terra vacua in oliveto o vigneto a seconda della qualità del suolo e di corrispondere a tempo debito la metà delle olive, del vino, del vinello e della legna, nonché in caso di semina la decima del raccolto; aggiunge inoltre che per qualunque reato perpetrato su quel terreno il giudizio rimane di competenza della curia monastica e che, qualora dovesse liberamente allontanarsi dal castello di Summonte, la terra tornerà di libera collazione del monastero; precisa infine che ogni anno deve portare una centa di cera al monastero di San Benedetto di Avellino e che ha facoltà di costruire sul terreno, avuto in fitto, tre capanne rispettivamente per la custodia del torchio, per la raccolta delle castagne e per il ricovero delle greggi.
(Originale, PERGAMENA N. 609, mm. 240×345; scrittura beneventana).

608- MEMORATORIUM [PASTINATIONIS]
1176 – ottobre, ind. X, Summonte
Sirrerio prende in fitto perpetuo dal monaco Rossemanno preposito del monastero di Montevergine, un pezzo di terra, in parte coltivato a querceto e castagneto ed in parte ancora vacuo, sito nella località Terolano, con l’obbligo di coltivare e far fruttificare il querceto ed il castagneto e di corrispondere la metà delle querce e delle castagne, di trasformare nello spazio di otto anni la terra vacua in oliveto o vigneto a seconda della qualità del suolo e di corrispondere a tempo debito la metà delle olive, del vino, del vinello e della legna, nonché in caso di semina la decima del raccolto; s’impegna in caso di reato a sottoporsi al giudizio della curia monastica ed in caso di partenza dal castello di Summonte a restituire il terreno all’abbazia, nonché a versare il canone annuo di una centa di cera al monastero di San Benedetto di Avellino; chiede infine la facoltà di poter costruire su quel terreno tre capanne, rispettivamente per la custodia del torchio, per la raccolta delle castagne e per il ricovero delle greggi.
(Originale, PERGAMENA N. 609, mm. 233×408; scrittura beneventana).

609. CARTULA VENDITIONIS
1176 – novembre, ind. X, Summonte
I fratelli Amminadab e Roberto, figli del fu Roberto, alla presenza del giudice Magno e del signore di Summonte Boamondo Malerba, vendono al monaco Rossemanno, priore dell’abbazia di Montevergine, un pezzetto di terra vacua, sito a Santa Maria del Preposito e quasi del tutto circondato da terreni già di proprietà di Montevergine, realizzando la somma di 32 tarì salernitani; alla vendita si associano Aresta e Floredasa, rispettivamente moglie di Amminadab e di Roberto, e concedono allo stesso priore le garanzie di legge per il quieto possesso di quel terreno.
(Originale, PERGAMENA N. 610, mm. 225×325; scrittura beneventana).

610. CARTULA VENDITIONIS
1176 (77) – dicembre, ind. X, Ascoli Satriano
Gottefrido figlio del fu Amico e la moglie Carafesta figlia del fu Falcone de Martino, quest’ultimo assistita dal fratello Benedetto che le funge da mundoaldo e dal giudice Rufo che ne controlla la libera volontà, vendono ad Andrea Fabbro una casa sita fuori la città di Ascoli dove si dice Serra, pervenuta per metà a Gottefrido per donazione e per metà a Carafesta per dote, realizzando la somma di 6 once d’oro in tarì di moneta siciliana.
(Originale, PERGAMENA N. 611, mm. 200×345; scrittura minuscola rotonda di transizione).
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611. CARTULA COMMUTATIONIS
1177 (76) – gennaio, ind. X, Summonte
Formentino figlio del fu Pietro ed il monaco Rossemanno preposito del monastero di Montevergine, sotto il controllo del giudice Magno e di altre persone di riconosciuta onestà, concordano uno scambio di beni: Formentino cede nelle mani di Rossemanno, che agisce a nome e per conto dell’abbazia, un castagneto di sua proprietà, sito nei pressi del castello di Summonte dove si dice Fontanelle, ed in cambio riceve dal monaco un altro castagneto, sito anch’esso nei pressi del castello di Summonte dove si dice Confinio.
(Originale, PERGAMENA N. 613, mm. 260×305; scrittura beneventana).

612. SCRIPTUM MEMORIE
1177 (76) – febbraio, ind. X, Benevento
Filomena, rimasta unica erede del defunto genitore Rao Satullo, insieme al figlio Roberto, cita davanti al giudice Grimoaldo il cognato Felice figlio del fu Giovanni Rivera, perché aveva intenzione di vendere alcune terre site a Montecalvo a lui pervenute come dote della defunta moglie Milana, sorella di Filomena, sulle quali gravava la clausola che qualora Milana fosse morta senza prole, come si era verificato, quelle terre per metà sarebbero tornate a Rao o ai suoi eredi e per metà sarebbero rimaste in usufrutto a Felice sua vita natural durante per poi passare a Giovanni Rivera o ai suoi eredi, perché detto Giovanni aveva provveduto al corredo di Milana; inoltre Filomena rivendica la metà di altre terre, nonché la metà del ricavato di terre e case vendute da Felice e tutte facenti parte della dote di Milana; il giudice, dopo aver ascoltato le parti, letto i documenti da loro prodotti e controllato una precedente sentenza emessa dai giudici Landolfo e Dauferio, stabilisce che Filomena venga immessa nel quieto possesso della metà dei beni stabili, che avevano formato la dote di Milana e che Felice, quale usufruttuario dell’altra metà, non ha alcuna facoltà di alienare.
(Originale, PERGAMENA N. 614, mm. 221×352; scrittura beneventana).

613. SCRIPTUM MEMORIE
1177 (76) – febbraio, ind. X, Benevento
Filomena, rimasta unica erede del defunto genitore Rao Satullo, insieme al figlio Roberto, cita davanti al giudice Grimoaldo il cognato Felice figlio del fu Giovanni  Rivera, perché aveva intenzione di vendere alcune terre site a Montecalvario a lui pervenute come dote della defunta moglie Milana, sorella di Filomena, sulle quali gravava la clausola che qualora Milana fosse morta senza prole, come si era verificato, quelle terre per metà sarebbero tornate a Rao o ai suoi eredi e per metà sarebbero rimaste in usufrutto a Giovanni sua vita natural durante per poi passare a Giovanni Rivera o ai suoi eredi, perché detto Giovanni aveva speso 80 romanati e 85 trentana per fare il corredo alla nuora; inoltre Filomena rivendica la metà di altre terre, nonché la metà del ricavato di terre e case vendute da Felice e tutte facenti parte della dote di Milana; il giudice, dopo aver ascoltate le parti, letto i documenti da loro prodotti ed esaminato una precedente sentenza emessa dai giudici Landolfo e Dauferio, stabilisce che Filomena venga immessa nel quieto possesso della metà dei beni, che avevano formato la dote di Milana e che Felice, quale usufruttuario dell’altra metà, non ha alcuna facoltà di alienare.
(Copia del documento precedente in forma di originale, PERGAMENA N. 614, mm. 258×335; scrittura beneventana).

614. CARTULA OBLATIONIS
1177 – maggio, ind. X, Avellino
Rimario, nella sua qualità di baglivo della città di Avellino, convoca i cinque giudici, rappresentanti l’amministrazione civica della città, e comunica loro che il conte Ruggiero de Aquila gli ha inviato una prima lettera, invitandolo ad immettere l’abate Giovanni di Montevergine nel possesso di una terra con nocelleto, sita nella località Cerreta dallo stesso conte appositamente acquistata dallo stratigoto Bernardo, e una seconda lettera con la quale invita i giudici convocati a redigere in forma ufficiale l’atto relativo alla consegna che sta per essere effettuata; i giudici si regolano di conseguenza ed ordinano al notaio Tristaino di rogare la presente «cartula oblationis».
(Originale, PERGAMENA N. 615, mm. 375×479; scrittura beneventana).

615. SCRIPTUM VENDITIONIS
1177 – [luglio], ind. X, Taurasi
Pietro, figlio del fu Urso Barurso, e la moglie Salegrima, per la quale lo stesso marito funge da mundoaldo, alla presenza del giudice Cleopa e col consenso del signore Ruggiero di Lapio, vendono al milite Leonardo, figlio del fu Radoaldo, parte di una vigna con annesso pezzo di costa, sita nelle pertinenze di Taurasi dove si dice Piano, realizzando la somma di 30 tarì salernitani di moneta corrente.
(Originale, PERGAMENA N. 616, mm. 210×353; scrittura beneventana).

616. CARTULA OBLATIONIS
1177 – settembre, ind. XI, Montefusco
Rinaldo Lombardo e la moglie Maria, non avendo figli né speranza di averne in seguito, decidono di offrire se stessi e tutti i loro beni mobili e stabili alla chiesa di Santa Maria di Montevergine; Rinaldo precisa che quei beni per due terzi appartengono a lui e per un terzo alla moglie, ricordando in particolare la casa sita nel castello di Montefusco, non molto lontano dalla chiesa di Santa Maria, e la vigna sita nelle pertinenze dello stesso castello dove si dice Seri; ambedue fanno l’oblazione, alla presenza del giudice Riccardo, nelle mani di Guglielmo priore di San Giovanni a Marcopio, e del monaco Matteo; si riservano sui beni mobili, ognuno per quanto gli appartiene, la facoltà di servirsene non solo per le necessità della loro vita ma anche per eventuali opere pie a favore dei poveri; sui beni stabili invece si riservano l’usufrutto loro vita natural durante, per cui tali beni passeranno in proprietà della chiesa solo dopo la morte di ambedue i coniugi; per l’uso dei beni stabili tuttavia s’impegnano  a versare il canone annuo di una libbra di cera; infine Rinaldo aggiunge la clausola che, qualora dovesse premorire alla moglie e questa dovesse non rimanergli fedele o passare in seconde nozze, i due terzi della casa e della vigna passeranno subito in proprietà della chiesa di Montevergine.
(Originale, PERGAMENA N. 617, mm. 295×325; scrittura beneventana).

617. MEMORATORIUM [REMISSIONIS]
1177 – dicembre, ind. XI, Taurasi
Il giudice Magno di Summonte cita davanti al giudice Pietro di Taurasi, Giovanni Galfrido, figlio del fu Giovanni, perché questi pretendeva un passaggio attraverso una terra di sua proprietà, sita nella località Sala di Taurasi; senonché prima che Magno chiarisca ufficialmente le sue ragioni ed il giudice Pietro provveda ad emettere la sentenza, lo stesso Giovanni Galfrido riconosce di non avere alcun diritto ed impegna se stesso ed i suoi eredi a non creare ulteriori fastidi a Magno ed ai suoi eredi, ponendo così fine alla questione.
(Originale, PERGAMENA N. 619, mm. 190×288; scrittura beneventana).

618. SCRIPTUM CONVENIENTIE
1177 – dicembre, ind. XI, Maddaloni
Marotta vedova del fu Guglielmo, dal quale aveva avuto una figlia di nome Blassiella, col consenso del secondo marito Giovanni Bellafore che le funge da mundoaldo, si accorda con Giovanni de Alberada, padre del suo primo defunto marito, che agisce per conto della nipote Blassiella, e cede nelle sue mani la quarta parte di tutti i beni da lei ereditati dal defunto marito, spettante per legge alla figlia Blassiella; si conviene tuttavia di escludere la quarta parte di un orto, che le viene rilasciata in compenso dell’avvenuto pacifico accordo.
(Originale, PERGAMENA N. 620, mm. 192×322; scrittura minuscola rotonda di transizione).

619. CARTULA OBLATIONIS
1177 [marzo 1177 – febbraio 1178], ind. [X – XI], Summonte
Ruggiero, figlio del fu Giacomo Giovanni, e la moglie Susanna, abitanti nel castello di Summonte, offrono se stessi e tutti i loro beni mobili e stabili a Dio nel monastero di Santa Maria di Montevergine, ponendo se stessi al servizio del monastero, riservandosi sui beni offerti l’usufrutto loro vita natural durante ed impegnando lo stesso monastero ad intervenire in loro favore qualora circostanze avverse non permettessero loro di provvedere al proprio vitto ed al proprio vestito.
(Originale, PERGAMENA N. 621, mm. 235×320; scrittura beneventana).

620. CARTULA OBLATIONIS
1178 – 1179, ind. XI (XII), Auletta
Giovanni, figlio di Burnincello, insieme alla moglie Cineda, offre alla chiesa di S. Onofrio un podere situato nei pressi del torrente Colonna, con tutti i diritti connessi, in particolare quello di attingere acqua.
(Originale, PERGAMENA N. 622, mm. 243×435; scrittura minuscola greca).
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621. SCRIPTUM RECORDATIONIS
1178 (77) – gennaio, ind. XI, Montevergine
Giovanni abate di Montevergine, confortato dal consenso dell’intero capitolo monastico, accoglie la richiesta dei vassalli dell’abbazia, fino a quel momento dispersi in diverse località e qualcuno senza casa o fissa dimora, e decide di farli abitare tutti insieme nei pressi del castello de Summonte dove si dice Fontanelle su un terreno dell’abbazia, che mediante un regolare piano di lottizzazione poteva accogliere le 27 famiglie, in modo che ciascuna ne ricevesse una quantità sufficiente alla costruzione di una casa per abitazione civile e di una stalla per gli animali; con l’obbligo da parte dei vassalli di riconoscere se stessi ed i loro eredi uomini ligi del monastero, di poter trasmettere quei beni ai loro eredi legittimi ma non di alienarli, ed infine di corrispondere al monastero l’annuo canone di due braccia di cera per la festa del Natale.
(Originale, PERGAMENA N. 623, mm. 350×408; scrittura beneventana).

622. SCRIPTUM VENDITIONIS
1178 (77) – gennaio, ind. XI, Mercogliano
Silvestro figlio del fu Roberto de Bona, alla presenza del giudice Guglielmo, vende al notaio Tristaino, figlio del fu Maraldo Fellicola, un pezzo di terra con orto, sito nelle pertinenze di Mercogliano dove si dice Toppetella, realizzando la somma di 12 tarì salernitani.
(Originale, PERGAMENA N. 624, mm. 203×338; scrittura beneventana).

623. BREBE CONCESSIONIS
1178 – 25 febbraio, ind. XI, Celenza Valfortore
Rao vescovo di Volturara Appula, dietro richiesta del conte Enrico di Civitate e della madre contessa Sica e col consenso del capitolo cattedrale, riconosce la chiesa di Santo Spirito, costruita nelle pertinenze di Celenza Valfortore dove si dice Fontana della Noce, le assegna quale dotazione alcuni beni stabili di proprietà dell’episcopio, esistente in quella località, e s’impegna a consegnare il crisma ed a permettere che in quella chiesa si svolgano le funzioni religiose come  in tutte le altre chiese della diocesi, riservandosi quale segno di soggezione il canone annuo di una libbra d’incenso da corrispondersi nella festa mariana di mezz’agosto; in cambio riceve dal detto conte e dalla detta contessa 20 moggia di terra siti nei pressi del casale di San Gregorio, gia di proprietà dell’episcopio, nonché i beni sequestrati al milite Andrea di Unfrido.
(Originale, PERGAMENA N. 625, mm. 280×365; scrittura minuscola libraria).

624. CARTULA VENDITIONIS
1178 (77) – febbraio, ind. XI, Mercogliano
Roberto figlio del fu Alferio de Domnello, col consenso del fratello Domnello, vende ai fratelli Carofrate e Benencasa figli di Doddede, i quali agiscono anche a nome della sorella Gulizia, una casa in legno e muratura, sita nel castello di Mercogliano, realizzando la somma di 30 tarì salernitani; alla vendita si associano Nubbia e Marotta rispettivamente madre e moglie di Roberto, nonché Tanda moglie di Domnello, per concedere agli acquirenti le opportune garanzie di legge per il quieto possesso di quella casa.
(Originale, PERGAMENA N. 626, mm. 248×320; scrittura beneventana).

625. MEMORATORIUM [PASTINATIONIS]
1178 (77) – febbraio, ind. XI, Mercogliano
I sacerdoti Bernardo e Riccardo, rettori della chiesa di San Nicola sita nelle pertinenze di Mercogliano dove si dice Villa Nova, concedono in fitto perpetuo ai fratelli Guglielmo e Sabatino figli del fu Giovanni Gabilone un pezzo di terra di proprietà della chiesa, sito nella località Aire, con l’obbligo di coltivarlo e farlo fruttificare, di trasformarlo nello spazio di dodici anni in nocelleto e di corrispondere per i primi dodici anni la quinta parte dei seminati e negli anni successivi la metà delle nocciole e la decima dei seminati.
(Originale, PERGAMENA N. 627, mm. 280×300; scrittura beneventana).

626. CARTULA VENDITIONIS
1178 (77) – febbraio, ind. XI, Benevento
Bernardo Pantasia, figlio del fu conte Riccardo, per il prezzo di 10 romanati vende al sacerdote Guglielmo, rettore della chiesa di San Marciano, una terra vacua sita nei pressi della stessa chiesa, precisando che su quella terra grava la «fidantia» di tre tarì amalfitani, di cui l’acquirente deve farsi carico; alla vendita si associa la moglie di Bernardo, per concedere all’acquirente le opportune garanzie di legge per il quieto possesso di quel terreno.
(Originale, PERGAMENA N. 628, mm. 356×273; scrittura beneventana).

627. CARTULA VENDITIONIS
1178 (77) – febbraio, ind. XI, Sarno
Pietro detto Buttone ed il nipote Giovanni, figlio del fu Martino detto Bonaventura, vendono a Sarno de Angela figlio del fu Pietro de Sasso due pezzi di terra con castagneto, siti nelle pertinenze di Sarno dove si dice Atriniano, realizzando la somma di 20 tarì salernitani.
(Originale, PERGAMENA N. 629, mm. 346×238; scrittura beneventana).

628. CARTULA OBLATIONIS
1178 – febbraio, ind. XI, Maddaloni
Altruda di Maddaloni, vedova del fu Nicola di Orazzano, assistita da Biagio Ferraco, che le funge da mundoaldo, e col consenso del figlio Nicola, per la salvezza dell’anima sua, del defunto marito e di tutti gli altri suoi parenti, offre alla chiesa di Santa Maria di Montevergine nelle mani del monaco Guglielmo di Arienzo, che agisce a nome dell’abate Giovanni e degli altri confratelli di Montevergine, un pezzo di terra sito nelle pertinenze di Maddaloni dove si dice Pastino.
(Originale, PERGAMENA N. 630, mm. 231×300; scrittura minuscola di transizione).

629. CARTULA VENDITIONIS
1178 – marzo, ind. XI, Eboli
Il milite Pietro figlio del fu Urso Ramario, col consenso della moglie Eva ed alla presenza del diacono Paterno facente parte dell’«officium testandi» della città di Eboli, vende alla sorella Gemma una terra lavorativa, sita nelle pertinenze di Castel del Monte dove si dice Pretolla, realizzando la somma di 10 tarì salernitani di moneta corrente e facendo salvi gli eventuali diritti di un certo Salomone figlio del fu Giovanni di Trani.
(Originale, PERGAMENA N. 631, mm. 335×210; scrittura beneventana).

630. CARTULA OBLATIONIS
1178 – marzo, ind. XI, Maddaloni
Roberto Saraceno di Maddaloni, per la salvezza dell’anima sua, della moglie e di tutti gli altri suoi parenti, alla presenza del giudice Giovanni, offre alla chiesa di Santa Maria di Montevergine, nelle mani del monaco Guglielmo d’Arienzo, che agisce in nome e per conto dell’abate e degli altri monaci di Montevergine, un pezzo di terra sito nella località San Nazzaro.
(Originale, PERGAMENA N. 632, mm. 215×275; scrittura minuscola corsiva di transizione).
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631. SCRIPTUM VENDITIONIS
1178 (77) – aprile, ind. XI, Grottaminarda
Giovanni Gaugo, figlio del fu Achille del castello di Grottaminarda, alla presenza del giudice Eletto, vende a Ieconia, figlio del fu giudice Nicola, un casalino sito fuori dello stesso castello dove si dice Pendino di Sant’Angelo, realizzando la somma di 10 tarì d’oro di buona moneta salernitana.
(Originale, PERGAMENA N. 633, mm. 187×360; scrittura beneventana).

632. CARTULA TRADITIONIS
1178 – giugno, ind. XI, Sarno
Giovanni Rascico nella qualità di camerario regio, alla presenza dei giudici Palmerio ed Enrico, concede ai fratelli Bartolomeo, Pietro e Guglielmo, figli di Martino Prestore, di edificare a proprie spese un mulino lungo le sponde del fiume Foce, con l’obbligo di mantenerlo, sempre a proprie spese, in piena efficienza e di corrispondere all’erario la metà del ricavato della molitura da consegnare annualmente al messo dominicale.
(Originale, PERGAMENA N. 634, mm. 335×316; scrittura beneventana).

633. SCRIPTUM MEMORIE
1178 – agosto, ind. XI, Avellino
Rainone, figlio del fu Giovanni, prega il giudice Amato di voler rendere di pubblico dominio le ultime volontà della defunta moglie Magalda, la quale sul letto di morte, alla presenza dei sacerdoti Giovanni e Benedetto nonché di Giovanni Sclavo, aveva disposto che l’intera quarta parte a lei spettante sui beni mobili e stabili del marito Rainone venisse assegnata ai figli Giovanni e Giacomo, riservandone tuttavia l’usufrutto allo stesso Rainone sua vita natural durante; il giudice, dopo aver ascoltato i testi, che si dichiarano disposti a giurare sulla veridicità dell’esposto, non li sottopone a giuramento, perché ritenute persone degne di fede; invita Amato, fratello della defunta Magalda, il quale agisce a nome e per conto dei nipoti Giovanni e Giacomo, a prendere conoscenza delle disposizioni testamentarie suesposte; ed ordina al notaio Leonardo di metterle per iscritto.
(Originale, PERGAMENA N. 635, mm. 300×220; scrittura beneventana).

634. CARTULA IUDICATI
1178 – agosto, ind. XI, Sarno
Giovanni Rascico nella qualità di camerario regio fa ricorso alla giustizia, perché Sarno de Angela, figlio del fu Pietro de Sasso, ha defraudato la curia per non aver reso le prestazioni feudali; senonché Sarno, di fronte ai giudici Palmerio ed Enrico, dimostra di esserne esente in quanto né i suoi avi al tempo del dominio longobardo, né suo padre né lui dall’occupazione del re Ruggiero in poi, hanno mai versato alcunché alla curia, inoltre presenta sei testimoni qualificati, tra cui il visconte Pietro, i quali con giuramento confermano la sua deposizione, onde i giudici sentenziano che Sarno ed i suoi eredi non sono soggetti ad alcun tipo di angaria ed ordinano al notaio Alessandro, per evitare future questioni, di redigere la presente «cartula iudicati».
(Originale, PERGAMENA N. 636, mm. 310×250; scrittura beneventana).

635. SCRIPTUM MEMORIE
1178 – settembre, ind. XII, Avellino
Il monaco Giovanni, cellerario del monastero di Montevergine, prega il giudice Giacomo di voler rendere di pubblico dominio una delle ultime volontà del defunto Riccardo de Stefano, il quale sul letto di morte, alla presenza di tre sacerdoti, un chierico e quattro laici, aveva disposto che un suo pezzo di terra con castagneto, sito nella località Baccanico, fosse assegnato alla chiesa di Santa Maria di Montevergine; il giudice, dopo aver ascoltato i testi che si dichiarano disposti a giurare sulla veridicità dell’esposto, non li sottopone a giuramento perché ritenuti persone degne di fede, ed ordina al notaio Leonardo di redigere il presente atto.
(Originale, PERGAMENA N. 637, mm. 376×180, scrittura beneventana).

636. CARTULA TRADITIONIS
1178 – ottobre, ind. XII, Maddaloni
Il monaco Rossemanno, preposito dell’abbazia di Montevergine, concede in fitto perpetuo a Guglielmo della Rocca un pezzo di terra, sito nelle pertinenze di Maddaloni dove si dice Campo Maggiore, con l’impegno che egli ed i suoi eredi diventino uomini ligi del monastero, dell’abate e dei monaci, siano disposti a difenderli in ogni circostanza e corrispondano il canone annuo di 2 tarì amalfitani per la festa mariana del mese di agosto.
(Originale, PERGAMENA N. 638, mm. 166×328; scrittura minuscola corsiva di transizione).

637. SCRIPTUM SECURITATIS
[1178] – ottobre, ind. XII, Taurasi
Il giudice Magno, figlio del fu Summone, cita davanti al giudice Pietro di Taurasi Potone figlio del fu Nicola Galfrido, perché aveva sconfinato in un terreno di sua proprietà, sito nelle pertinenze di Taurasi dove si dice Tufara; il giudice Pietro, dopo aver ascoltato le parti e interrogato i testi, alla presenza del comestabile Gualtiero de Rivera, emette la sentenza a favore di Magno ed egli stesso, che funge anche da notaio, roga il presente «scriptum securitatis».
(Originale, PERGAMENA N. 432, mm. 260×220; scrittura beneventana).

638. CARTULA DONATIONIS
1178 – novembre, ind. XII (XI), Avella
I fratelli Roberto ed Alessio, figli del fu Angelo Cornerio, per la salvezza delle anime loro e di tutti i loro parenti, alla presenza del giudice Giovanni, donano alla chiesa di Santa Maria di Montevergine, nelle mani del monaco Roberto di Avellino, quattro piante d’olivo, site nelle pertinenze di Avella dove si dice Cervito; aggiungono la clausola che, qualora l’una o l’altra pianta per il forte vento o una qualsiasi altra calamità dovesse essere sradicata o distrutta, dovrà essere rimpiazzata con una nuova a spese dei monaci.
(Minuta notarile, PERGAMENA N. 618, mm. 130×215; scrittura libraria minuscola).

639. BREBE MANIFESTATIONIS
1178 – novembre, ind. XII, Mercogliano
Riccardo Pellerio, figlio di Pietro, e la moglie Tarsilia rinunziano a favore del monastero di Montevergine, nelle mani dell’abate Giovanni, agli eventuali diritti loro spettanti su un pezzo di terra già posseduto da quel monastero, ma ad esso pervenuto dai defunti coniugi Giovanni di Chiusano e Marotta; inoltre per il quieto e sicuro possesso di quel terreno da parte dell’abbazia cedono nelle mani dell’abate anche la «cartula morgincaph», che fu di Marotta.
(Originale, PERGAMENA N. 639, mm. 308×265; scrittura beneventana).

640. CARTULA CONCESSIONIS
1[178] – novembre, ind. XII, Summonte
Avendo Boamondo Malerba, signore di Summonte, mosso lite all’abate Giovanni di Montevergine per aver fatto un uso indiscriminato della facoltà concessagli di costruire un solo forno nella località Fontanelle di proprietà dell’abbazia, l’abate invia in quella curia il preposito Rossemanno per regolarizzare la situazione; il signore Boamondo accetta le scuse e la preghiera del monaco, ordinando a Magno, giudice e notaio, di redigere il presente atto notarile, col quale permette la costruzione di un numero di forni proporzionato all’aumentata popolazione della località Fontanelle.
(Originale, PERGAMENA N. 640, mm. 218×255; scrittura beneventana).
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641. CARTULA TRADITIONIS
1178 – novembre, ind. XII, Castelcicala
Riccardo di Cicciano ed il nipote Stefano cedono nelle mani del monaco Prefetto, priore della grangia di Santa Maria del Plesco, che agisce a nome e per conto della casa madre di Montevergine, la terza parte di due case tra loro attigue i cui restanti due terzi erano già in potere dell’abbazia di Montevergine, ed in cambio ricevono 11 tarì di moneta amalfitana.
(Originale, PERGAMENA N. 641, mm. 195×385; scrittura minuscola rotonda di transizione).

642. CARTULA VENDITIONIS
1178 – dicembre, ind. XII, Forino
Damiano, figlio del fu Germano, e la moglie Solomia, per la quale lo stesso Damiano funge da mundoaldo, col consenso di Simone baiulo del castello di Forino, vendono al sacerdote Romualdo del fu Romualdo una terra vacua, sita nelle pertinenze di Forino dove si dice Creta, realizzando la somma di 20 tarì salernitani.
(Originale, PERGAMENA N. 642, mm. 360×172; scrittura beneventana).

643. MEMORATORIUM [LOCATIONIS]
1178 – dicembre, ind. XII, Mercogliano
Il sacerdote Guglielmo, rettore della chiesa di San Giovanni, cede in fitto perpetuo ad Amato Caputo, figlio del fu Giovanni, una terra con vigna di proprietà della chiesa, sita nelle pertinenze di Mercogliano dove si dice Urbiniano, con l’obbligo di coltivarla e farla fruttificare, di incrementare la vigna e corrispondere la metà del vino, del vinello e del raccolto degli alberi da frutta, nonché il terratico in ragione della decima parte dei cereali.
(Originale, PERGAMENA N. 643, mm. 260×303; scrittura beneventana).
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