Siti web e canali social
Date:
2 Novembre 2016
(di Domenico D. De Falco)
Ce l’avevano già detto, i figli sedicenni, ventenni – il cui giudizio teniamo in gran conto – mentre osservavano con aria sorniona l’impegno, l’accanimento, con il quale continuamente aggiorniamo questo sito: tutto ciò che c’è da comunicare, da sapere e far sapere, passa attraverso i canali social, ragion per cui i siti web sono destinati a divenire strumenti rapidamente superati, se non lo sono di già. Il tutto, condito con le infiorettature ruffiane tipiche dei figli che di qui a un’altra settimana stanno per chiedere un contributo (robusto, s’intende) per l’acquisto dell’iphone7… Beh, nonostante l’atteggiamento perfidamente ricattatorio – che però fa sempre leva sui cuori dei padri e delle madri – la sostanza non cambia: se non sei sui social non esisti (una volta l’assunto era: se non sei presente in rete, non esisti).
Lo spunto per la riflessione che affidiamo alle colonne di questo sito – come scrivevano un tempo i bravi giornalisti con le dita sporche dell’inchiostro delle macchine da scrivere e del piombo dei caratteri tipografici durante la correzione delle bozze – e che quindi, stando a quanto abbiamo dovuto scrivere in premessa, nessuno leggerà (a meno di postarlo anche sui social, naturalmente), ci viene offerto da un interessante inserto speciale social media del quotidiano «il manifesto» allegato al numero di mercoledì 2 novembre 2016, dal significativo titolo Pollice verso. Si tratta di 7 pagine (l’ottava contiene la pubblicità al giornale), in quell’ormai desueto formato di 45 cm al quale siamo tanto affezionati – era fatto in modo che dalla tasca posteriore dei jeans spuntasse la riconoscibile testata, un segno d’appartenenza – curato da DataMediaHub «sulle “strategie social” dei gruppi editoriali italiani … spesso autoreferenziali e sfacciatamente autopromozionali …», come recita il sottotitolo in prima di copertina. I dati sono riferiti esclusivamente a 10 siti web d’informazione tra quelli che, come si dice, fanno notizia, ma sono comunque significativi di una tendenza, di un comportamento diffuso, in una parola di un atteggiamento social(e). Scrive Pier Luca Santoro nel suo editoriale Un gorilla in redazione tra link, troll e tanti errori: «Basti vedere, in assenza di altri dati o di utilizzo di piattaforme specifiche di monitoraggio, il rapporto tra numero di fan, pur con tutte le tarature sulla reach effettiva, e gli accessi complessivi al sito web corrispondente della testata o, peggio, la vendita di copie cartacee, per verificare quanto labile sia la relazione … Le persone, nella migliore delle ipotesi, leggono le due righe del post caricato su Facebook e, se tutto va bene, mettono il loro “mi piace”, condividono o commentano». Santoro conclude il suo articolo con un lapidario «I social non sono piattaforme di distribuzione», per cui sarebbe indispensabile riuscire ad offrire una informazione “su misura” ad ogni singolo lettore.
Dato per scontato il primato dei canali social su qualsiasi forma di comunicazione, nell’inserto si affrontano altre questioni importanti, quale ad esempio quella legata a SEO, acronimo di Search Engine Optimization, cioè “ottimizzazione per i motori di ricerca”. Come ben sa chiunque si occupi di diffusione delle informazioni, posizionarsi ai primi posti dei risultati restituiti da una qualsiasi ricerca in rete è questione vitale per essere raggiunti. E allora per coloro che si interessano di SEO il problema non è solo riuscire ad ottimizzare il sito dal punto di vista “tecnico”, ma, oltre all’introduzione di tutte le variabili utili a garantire una coerente indicizzazione, occorre che gli stessi redattori siano in grado di adottare le buone pratiche compatibili con SEO. Certo, si possono perseguire delle scorciatoie e si può far ricorso a parole-chiave equivoche e di dubbia pertinenza che, per il solo fatto di essere le più cliccate in rete, garantiscono di fatto una ampia visibilità; oppure si ha voglia a ripetersi che il proprio sito, essendo un sito istituzionale, deve essere come tale riconosciuto dai più o meno intelligenti motori di ricerca e dunque comparire ai primi posti di una qualsivoglia ricerca, seppur lanciata distrattamente… Insomma, il mondo dell’informazione, lungi dall’essere una giungla disordinata come pure potrebbe apparire – e in taluni casi è – dovrebbe essere invece il luogo d’un esercizio quanto più specialistico, di modo che, non confondendosi con il marasma generalistico, diventi riconoscibile per ciò che ogni sito è capace di offrire in esclusiva.
Per rimanere al nostro àmbito, il sito di una biblioteca pubblica dovrebbe dire nella maniera più chiara e immediata quali sono i servizi che offre all’utenza per qualificare la propria presenza nel territorio di riferimento; inoltre, poiché non è evidentemente possibile fruire di tutti i servizi di una biblioteca da remoto, il suo sito web dovrebbe essere (semplicemente?) un avamposto in rete: poi gli utenti dovranno per forza venire nelle confortevoli e silenziose sale di lettura delle biblioteche per completare le loro ricerche.