Il monaco soldato: una mostra fotografica-documentaria
Date:
23 Ottobre 2015
(di Anna Battaglia)
Domenica 11 ottobre in occasione dell’evento “Domenica di carta 2015”, organizzato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo allo scopo di far conoscere e valorizzare i luoghi storici della memoria e l’inestimabile patrimonio in essi contenuti, la Biblioteca Statale di Montevergine, in collaborazione con la Comunità Benedettina di Montevergine, ha inaugurato la mostra fotografica-documentaria dal titolo Il monaco soldato sempre accanto all’uomo: i religiosi di Montevergine e la Prima Guerra Mondiale (qui la versione online della mostra).
L’esposizione intende commemorare il centenario della Grande Guerra attraverso l’opera svolta dai monaci benedettini di Montevergine, dei quali si illustrano fotografie, documenti personali, cimeli, onorificenze, medaglie ed armi. Tale materiale rientra, in parte, nel posseduto della documentazione cartacea dell’Archivio storico di Montevergine e, in parte, è di proprietà della Congregazione Benedettina omonima. Distribuita su tre grandi bacheche, la mostra è dislocata nel corridoio inferiore del palazzo abbaziale di Loreto in Mercogliano, immediatamente a ridosso della portineria; sarà visitabile, fino al 31 dicembre, nei giorni e negli orari previsti dalle visite guidate della Biblioteca Statale di Montevergine, visionabili su queso sito.
In principio è presente la foto dell’abate mons. Carlo Maria Grasso, che deteneva in tal periodo il governo dell’abbazia di Montevergine; il religioso fu di notevole conforto per tutti i militari coinvolti. Creò diverse strutture allo scopo di assisterli, come la Casa del Soldato ed un Ufficio di Corrispondenza per ricevere più facilmente le missive provenienti dalle loro famiglie. La documentazione dei monaci di Montevergine ha suscitato particolarmente l’interesse da parte dei visitatori provenienti per la maggior parte dal napoletano e dal salernitano, che si sono interrogati sul perché fossero coinvolti direttamente nel conflitto e non esonerati in quanto religiosi. Purtroppo il momento storico particolare, il perdurare della Questione Romana e dunque l’assenza di riconoscimenti ufficiali da parte dello Stato italiano nei confronti della Chiesa, non permisero ai religiosi di essere tutelati. Molti monaci di Montevergine furono richiamati alle armi; alcuni riuscirono a trovare spazio come cappellani militari o vennero impegnati nel servizio sanitario, andandosi ad istruire presso grandi ospedali italiani, come il Fatebenefratelli ed il San Giovanni di Dio in Roma. Altri furono costretti a prestare servizio direttamente al fronte dove perirono; è stato inevitabile accennare ai visitatori la storia di monaci dei quali non esiste una documentazione specifica che testimoni la loro partecipazione alla guerra.
Antonio Serena, originario di Cetara, scampato al tremendo nubifragio verificatosi in Costiera Amalfitana nel 1910, rimasto orfano, era entrato in monastero all’età di 12 anni. Dopo pochi anni vestì l’abito monastico, ma chiamato alle armi, rimase ucciso, come il suo confratello Benedetto Palo di Giffoni, che, inviato in Calabria, in un combattimento perse la vita. Riportò considerevoli ferite il monaco Bernardo Della Vecchia; D’Alessio don Teodoro venne internato in Ungheria per diversi anni.
Gli orrori vissuti durante il conflitto influirono non da poco sul corpo e sulla psiche di alcuni religiosi, che, una volta conclusa la guerra, decisero di abbandonare la quiete delle mura claustrali, arrecando un considerevole danno alla congregazione. L’esposizione mette in evidenza alcuni documenti privati dei religiosi coinvolti: la scheda biografica dei monaci Don Paolino Colarusso di Pietradefusi e di Don Donato Cessari di Avellino, accompagnata la prima da un attestato di ammissione ai voti semplici, la seconda da una missiva di ricezione da parte del Vicariato di guerra di due lettere “dimissoriali” con le quali si comunica la sua ordinazione da professo. Seguono le foto di Vittore Petretta di Volturara Irpina che, nel 1915 venne richiamato in servizio militare e congedato dopo quattro anni. In basso si possono ammirare le foto dei monaci del periodo: la prima nei pressi della Cappella del Torrione sul Piazzale dei Tigli, chiamata così per la sua forma che da l’impressione di una torre. Costruita nel XVI secolo, fu poi restaurata nel XIX, su progetto dell’ing. Biancardi; è nota anche come Cappella dell’Apparizione poiché sul posto sarebbe apparso a san Guglielmo il Salvatore. Vi si svolge, in occasione della festività di san Guglielmo, una processione a ricordo dell’evento. La foto successiva ritrae i monaci sul costone dell’ospizio, quello antico, là dove si recavano a mangiare i cibi di grasso vietati al santuario; si distingue in basso il Palazzo Abbaziale di Loreto.
È poi presente la foto della trilaterale “Scala Santa” di accesso alla vecchia basilica, percorsa dai pellegrini che pervengono scalzi o in ginocchio o attraverso altre forme di devozione. La scheda di un altro monaco, Don Alferio De Laurentis di Torella dei Lombardi, a cui si accompagna un’attestazione di ammissione al suddiaconato, chiude lo spazio della prima bacheca.
La seconda presenta, attraverso due foto che lo ritraggono in abito militare e da abate, un altro grande personaggio coinvolto: Ramiro Marcone, originario di San Pietro Infine, in provincia di Caserta. Il religioso partecipò al grande conflitto quando era vice-rettore al Sant’Anselmo a Roma; fu richiamato alle armi in qualità di tenente di complemento. Destinato ad un ospedale militare in Liguria, venne poi mandato al fronte come cappellano e vi rimase per tre anni, meritando encomi solenni per atti di valore svolti. In occasione dell’inaugurazione dell’esposizione è stata sottolineata l’intensa opera svolta dai monaci nel concedere ospitalità sia ai militari, che occuparono per un periodo un’ala del seminario del Palazzo abbaziale di Loreto, sia ai profughi, donne e bambini, per i quali Don Amato Pirone celebrava ogni giorno la messa in portineria. Seguono le onorificenze del religioso Ciarletta Alessandro di Montoro Inferiore, che aveva partecipato alla Grande Guerra prima di entrare in monastero; vestì infatti l’abito monastico in qualità di converso nell’ottobre del 1921. Dapprima quella del Ministro della Guerra che gli conferisce la Croce al Merito di Guerra; poi quella del Presidente della Repubblica che concede a Ciarletta l’onorificenza di cavaliere dell’Ordine di Vittorio Veneto. Al centro la benedizione apostolica che il religioso riceve dal pontefice Paolo 6. nel 1972. Ha suscitato inoltre notevole curiosità la vicenda legata al religioso Barnaba Don Claudio di Vertenelio in Istria che fu a Montevergine dal 1908 al 1919, dove esercitò la carica di priore e poi quella di maestro dei novizi. Correda la sua scheda biografica una lettera del cronista del monastero, Francesco Benedetto, indirizzata al direttore del giornale Roma attraverso la quale si ribadisce l’estraneità del religioso ad alcuni fatti imputatigli. Un cronista di un giornale avellinese aveva infatti scritto circa infamanti insinuazioni che designavano l’abbazia quale clandestino ricettacolo di benzina per il rifornimento di aerei nemici ed inoltre chiesto l’intervento della Questura del Regno contro alcuni religiosi di Montevergine tra i quali il suddetto P. Barnaba. In seguito a tale vicenda si erano presentati a Montevergine i carabinieri e varie guardie con un ordine di perquisizione che fu eseguito minuziosamente non solo in monastero, ma anche in chiesa ed in sacrestia, nonostante le rimostranze dei monaci e dello stesso abate Grasso. Il tutto diede esito negativo e fu così inviata una missiva di protesta al Presidente del Consiglio dei Ministri, Vittorio Emanuele Orlando. Chiudono lo spazio della bacheca due foto del religioso Caso Placido che aveva partecipato alla Grande Guerra da giovanissimo.
Nell’ultimo espositore i visitatori hanno soffermato lo sguardo sui quattro fucili di fattura artigianale e sulle splendide medaglie di proprietà dei monaci benedettini di Montevergine. Queste ultime sono state riprodotte anche al verso in modo da essere ammirate nella loro completezza. Dapprima quella della Grande Guerra per la civiltà MCMXIV-MCMXVIII che presenta al recto il simbolo della “Vittoria Alata” su di un carro trainato da quattro leoni che simboleggiano gli eserciti sconfitti. Sul verso un tripode sormontato da due colombe che portano nel becco un rametto di olivo. A fianco ed attorno la scritta che individua la medaglia della Grande Guerra. C’è poi la Croce al Merito di Guerra; al recto in alto vi è il monogramma del re Vittorio Emanuele III, in basso foglie di quercia che circondano un gladio. Al verso al centro una stella raggiata a cinque punte; il nastrino è a righe verticali azzurre con al centro due righe (più strette) verticali bianche, La croce veniva conferita a tutti i soldati che avessero combattuto un anno al fronte, o per meriti particolari, o per ferite, dopo l’assegnazione del relativo distintivo. Dopo di questa la Medaglia conferita all’abate Ramiro Marcone, cappellano militare d’Italia nella Grande Guerra. Al recto vi è un cappellano militare che assiste spiritualmente un soldato, mentre al verso sono raffigurate le virtù teologali: fede, speranza e carità. Infine la Medaglia in oro formato mignon, commemorativa del 50°Anniversario della Vittoria 1918 – 1968. Fu istituita sotto la presidenza di Giuseppe Saragat, riporta sul recto la scritta L. Mancinelli, al verso “50° anniversario della Vittoria 1918 – 1968” con la scritta in basso piccolissima Bartoli Amedeo. Tale medaglia fu concessa ai Cavalieri di Vittorio Veneto, ai militari, cioè, che avevano combattuto almeno sei mesi e che si erano distinti particolarmente da ricevere la Croce al Merito di Guerra.
Qui un breve video commentato della mostra dal canale You Tube della Biblioteca