Una incisione inedita (?) di Domenico Antonio Vaccaro

Date:
1 Febbraio 2019

(di Annalisa Lombardi)

La favola...D. Filippo Maria Macchiarelli, benedettino camaldolese, è l’autore de La favola che ‘l sacro corpo del patriarca San Benedetto dorma nel sepolcro floriacese dinudata discorso apologetico primo. L’opera, pubblicata a Napoli dalla stamperia di Felice Mosca nel 1713, è dedicata a D. Gregorio Galisio, abate di Montecassino dal 1704 al 1717, e si lega alla contesa tra l’abbazia di Fleury e quella di Montecassino, relativa a chi possedesse le vere reliquie di san Benedetto, fondatore dell’Ordine Benedettino, e quelle di sua sorella Scolastica.

Nel corso del tempo le due comunità monastiche hanno fatto ricorso a diverse strategie letterarie per sostenere le rispettive posizioni.
Il racconto della traslazione del corpo di san Benedetto, attribuito al monaco floriacense Adrevaldo, la fa risalire agli anni di governo del secondo abate di Fleury, Mummolo (632-663), che si racconta abbia promosso la spedizione in Italia per appropriarsi delle reliquie.
I monaci cassinesi allo stesso modo sono ricorsi più volte alla scrittura per confutare gli scritti floriacensi; Filippo Maria Macchiarelli col suo racconto fa altrettanto.

Nell’introduzione del libro l’autore attua un artificioso quanto intenso parallelismo con un episodio legato alla battaglia tra Pompeo e Cesare, durante la quale quest’ultimo incoraggia il timoniere a continuare il viaggio dalla Macedonia all’Italia nonostante il vento contrario. Allo stesso modo la voce dei Padri Cassinesi incoraggia lo scrittore vacillante a perseverare nella dura battaglia per affermare la presenza del corpo di san Benedetto a Montecassino. La Verità e la Giustizia assistono lo scrittore in questa dura battaglia che lo porterà a sbaragliare i nemici, ossia gli scrittori, monaci floriacensi, che avevano diffuso le false notizie riguardanti le reliquie di san Benedetto.

L’incisione a corredo del libro deriva da un disegno di Domenico Antonio Vaccaro, realizzata da Andrea Magliar, incisore a bulino attivo a Napoli tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII che riprodusse soggetti religiosi da Francesco Solimena e architetture come la facciata del Palazzo Reale di Napoli di Domenico Fontana (cfr. il Dizionario enciclopedico dei pittori e degli incisori italiani); ritrasse anche numerosi membri della famiglia Carafa e intagliò il frontespizio per la seconda parte delle Opere politiche cristiane.

L’incisione rappresenta chiaramente la missione del racconto: il trionfo della Verità, così come la vediamo raffigurata nell’Iconologia di Cesare Ripa, la figura tiene in alto nella mano destra il sole, perché essa è amica della luce, nella sinistra sostiene un libro e un ramo di palma, nei libri infatti si trova la verità delle cose. Il ramo della palma simboleggia la capacità della Verità di resistere alle contrarietà dimostrando fortezza e vittoria. La Verità inoltre poggia il piede destro sul globo terrestre: il mondo sta ai suoi piedi poiché essa è superiore a tutte le cose ed è più preziosa di qualsiasi bene terreno.

 La Verità è assistita dalla Giustizia divina  i cui attributi, la spada e la bilancia, sono retti da putti; la bilancia simboleggia l’equilibrio e l’equità che la giustizia deve conservare o ristabilire, la spada simboleggia la forza e il potere necessari per esigere e far rispettare i propri giudizi.
La Verità e la Giustizia svelano e smascherano la “Favola” ossia la Menzogna ai piedi del globo, messa in ombra e allo stesso tempo accecata dalla luce della Verità.