Le reliquie dei santi attraverso i secoli nei documenti di Montevergine
Date:
18 Novembre 2013
(di Anna Battaglia)
Negli ultimi tempi l’interesse degli utenti dell’archivio storico, annesso alla Biblioteca Statale di Montevergine, sembra orientarsi, non solo verso la cospicua e, a volte, inedita documentazione, il cui studio, permette di conoscere maggiormente il proprio territorio di appartenenza e la sua storia, ma anche ad approfondire alcuni aspetti religiosi che connotano la vita e l’attività della congregazione verginiana. Tali fonti non occupano un posto preminente dal punto di vista della consistenza documentaria rispetto ad altre, ma la sezione dedicata al culto non è certamente trascurabile e stimola la curiosità nei lettori, che desiderano documentarsi sui santi venerati le cui reliquie si conservano completamente o in parte a Montevergine. In molti casi, porzioni di esse, si riscontrano presso altre parrocchie e spesso ci si interroga del perché il rimanente sia al santuario o sul tempo in cui le sacre reliquie siano pervenute, o su quali e quante ci siano attualmente. Non è semplice, attraverso le fonti pergamenacee, cartacee e la documentazione bibliografica, offrire sempre una risposta esauriente ai tanti interrogativi né stabilire con esattezza il momento dell’ arrivo delle sacre reliquie, che risale ad un tempo antico, al secolo XII.
A tal proposito è da considerare una pergamena, custodita nell’archivio storico di Montevergine, contrassegnata dal numero 3970, edita, per quanto riguarda il sunto, nel volume V. del Regesto delle Pergamene, a cura di p. Giovanni Mongelli. La scrittura, che non si presenta come un atto notarile, si evidenzia nella parte superiore, è opera di un monaco dell’abbazia, Bartolomeo Sasso, identificatosi come scrittore del monastero. (La storia di Montevergine e della sua congregazione, è opportuno sottolineare, è ricostruibile, attraverso i documenti, ma anche grazie alle importanti opere dei cronisti verginiani che, nel corso dei secoli, ne hanno fissato la memoria. Inoltre si riscontrano numerosi contributi, considerati forse minori, sotto forma di cenni storici, cronache, testamenti spirituali etc. che sono, allo stesso modo, altrettanto utili per la ricostruzione di momenti poco conosciuti o di particolari non trattati specificamente).
Il documento in questione, ascritto all’anno 1403, sebbene non presenti gli estremi cronologici concordanti, riferisce un fatto molto importante, legato alla memoria del religioso Antonello da Candida. Costui, iconiere e priore di molti monasteri verginiani, fu il primo autore dell’importante manoscritto dal titolo Il Necrologio Vergianiano iniziato nell’anno 1403, poi rivisto e restaurato nel 1525, pervenutoci nella sua forma attuale secondo la stesura di Fra Pietro Mazzarotta, come si può leggere nella nota posta alla data del 31 gennaio.*+
Nel documento è scritto che, al tempo dell’abate commendatario Pandullo, il monaco Antonello, nel pubblico capitolo, essendo molto vecchio e temendo di morire e con la sua morte perdersi la memoria di una cosa molto importante per l’abbazia, fa un vero e proprio giuramento. Nella chiesa di Montevergine, egli «…giura e dice…» essere presenti i corpi di molti santi donati dal re normanno Guglielmo, figlio di Ruggero quando assediò Benevento nel 1156. Di tali reliquie, pretese come bottino di guerra e condizione di pace dal papa Adriano IV, non si conosce il numero né i nomi dei corpi dei santi.
Una scrittura, legata alla consacrazione della nuova chiesa, dell’11 novembre del 1182, è particolarmente significativa: non si tratta di una vera e propria pergamena, ma della trascrizione dell’atto suddetto, presente sull’ultima carta segnata con il numero 36 da numerazione successiva, non coeva, del Rituale et Missale Romanum, un importante codice latino membranaceo del secolo XIII della Biblioteca Statale di Montevergine. Tale foglio dapprima era contenuto nel Necrologio Verginiano; non si tratta di una trasposizione erronea, ma del fatto che entrambi i codici, insieme alla Regola di San Benedetto ed al Martirologio, costituivano originariamente un tutt’uno, il cosiddetto Libro del capitolo, il testo cioè da utilizzare per la preghiera corale. Smembrati poi successivamente, per ragioni pratiche, essendo il tutto molto voluminoso, la carta contenuta nel Necrologio è confluita nel libro del Rituale, non essendoci una distinzione netta all’interno dei codici e forse perché non di facile interpretazione la scrittura, che si presenta a più mani. In tale documento, trascritto successivamente dai cronisti verginiani, si può ricavare il numero ed i nomi dei santi le cui reliquie erano a Montevergine e confermare la presenza delle reliquie già in precedenza.
In quei tempi l’abbazia era retta dall’abate Giovanni, uomo piissimo e religiosissimo, a cui la tradizione verginiana assegna il titolo di beato. Sotto la sua amministrazione si rese necessario, per l’affluenza dei molteplici pellegrini, erigere la nuova chiesa a tre navate; l’ultima parte di essa era sopraelevata e su questa sorgevano gli altari di San Benedetto, l’altare maggiore consacrato a tutti i santi e quello degli apostoli Santi Pietro e Paolo. In corrispondenza del primo altare fu poi creato un quarto altare, quello della Madonna; sotto di essi furono collocate le sacre reliquie elencate di seguito. Alla fine del documento si legge che, donate dai vescovi, arcivescovi, abati presenti alla cerimonia solenne di consacrazione, furono sottratte alle loro chiese di appartenenza, allo scopo di onorare il sacro tempio e la Madonna e per una sistemazione più adeguata. (La chiesa di Montevergine, si può dire sia stata consacrata due volte: la prima dal vescovo Giovanni di Avellino nel 1126, la seconda nel 1182, quando per ordine per l’appunto dell’abate Giovanni, ne fu realizzata una più bella e capiente in grado di accogliere la moltitudine dei pellegrini). Altre reliquie arrivarono a Montevergine al tempo di Federico II Imperatore, come attestano gli scrittori verginiani ed altrettanti documenti. Intorno al 1210, nell’atto noto come Statuto dell’abate Donato, di particolare interesse paleografico perché illustrato con figure disegnate a penna, si riscontra anche la figura del monaco «… Custos Altaris majoris me subscripsi». Il fatto è sottolineato dall’archivista, Bernardino Izzi, in una sua memoria sulla traslazione delle reliquie, nel 1760 «… Perché dunque assegnarsi un sacerdote custode dell’Altare Maggiore? Perché ben sapevano quei buoni PP. che vi era un tesoro di reliquie ivi nascoste 54 anni prima, onde fresca v’era la memoria … e nel tempo stesso si vedono firmati nella Costituzione il Custos sacrarii ed il Custos Ycone, affinché non nasca dubbio di essere stato un ufizio totalmente distinto da tutti gli altri». In uno strumento poi del 1225 (perg. n. 1565), nel quale Raone, conte di Conza e signore di Apice e di città e castelli dona al monastero di Montevergine uno dei suoi tre mulini, siti nelle pertinenze di Apice sul fiume Calore, si conferma che presso il monastero «… Multa Sanctorum Corpora requiescunt …».
Da quel tempo in poi sembra che il culto delle sacre reliquie a Montevergine sia andato a decadere ed esse furono nascoste in molti punti della chiesa per sottrarle ai furti ; ad un certo momento se ne conservava solo una celata memoria. Proprio per tale ragione, l’abate Pandullo fece redigere l’atto in forma privata nel 1403, corredando il documento dal sigillo del monastero, per renderlo autentico circa il contenuto, la memoria cioè di Antonello da Candida. C’è da dire che quest’ultimo ignorava il luogo nel quale tali reliquie fossero nascoste ed anche il nome dei corpi dei santi. Inoltre il religioso riferiva di essere venuto a conoscenza del fatto da altri monaci, da fra’ Guglielmo de Cirifalco, morto, stando al Necrologio Verginiano, nel 1370 e da Guglielmo da Benevento, priore di alcune dipendenze virginiane.
Quasi alla fine del secolo XV, al tempo del cardinale commendatario Giovanni D’Aragona che dedicò grande cura all’abbazia ed al santuario, fu redatto un altro documento, una memoria, non un atto notarile, attualmente con numero di regesto 4412, che ci informa sul ritrovamento del tesoro di sacre reliquie presso il santuario, confermando ciò che era stato attestato circa ottant’anni prima. In quell’epoca furono eseguiti importanti lavori non solo all’altare maggiore, ma anche al di sotto di questo, nel tabernacolo e nelle zone adiacenti e proprio in quegli ambiti si riscontrarono, come afferma l’atto del 1480, scritto dal monaco fra Donato da Vico, numerosissime reliquie. Il documento le elenca dandone una distribuzione nei diversi luoghi e cioè sotto l’altare, sopra l’altare, dentro l’altare, sul Tabernacolo; tali corpi dei santi, si legge, in parte erano contenuti in vasi di marmo con lamine di piombo, sui quali erano scritti i nomi dei santi ed altrettanti in casse di piombo, ugualmente con le iscrizioni dei nomi dei santi. Tra essi il corpo di San Gennaro; a tal proposito occorre ricordare che i napoletani ne chiesero subito il trasferimento per onorarlo più degnamente, considerando che la testa ed il preziosissimo sangue si trovavano già nella loro città.
I cronisti del secolo XVI., come Felice Renda, Verace Vincenzo e Tommaso Costo dedicano, nelle loro opere, diverse pagine alle reliquie custodite al santuario; il primo, nella la Vita di san Guglielmo, tratta della chiesa e del luogo dove erano contenute, elencandole accuratamente ed accennando al sacrario esistente. Di quest’ultimo ne fa una descrizione particolareggiata il contemporaneo Tommaso Costo nell’Istoria dell’origine del Sagratissimo Luogo di Montevergine: situato in un posto «… tutto messo a oro …» con molti «…vasi d’ariento … è ricco di tante e si fatte reliquie, che difficile sarebbe a trovarne un altro … anco uguale in tutta Cristianità …». Le reliquie, è scritto, in parte provengono da Benevento e da altri luoghi come bottino di guerra e dall’altra furono mandate da diversi re e baroni del regno. Infine si ricorda che nel 1551 furono portate presso il monastero del Santissimo Salvatore al Goleto alcune reliquie ed altrettante, situate in quel luogo, furono trasferite alla casa madre di Montevergine.
Successivamente la loro distribuzione nei reliquiari varia e non corrisponde esattamente a quella riportata in precedenza. Ce ne offre una descrizione d. Amato Mastrullo nella sua opera Montevergine Sagro; al tempo di quest’ultimo, il complesso aveva avuto grossi danni essendo scoppiato un incendio nel 1611, nel giorno della Pentecoste, l’11 di maggio, che aveva distrutto il monastero. A tal proposito, Ovidio De Luciis nel manoscritto, dal titolo Supplemento all’historia di Montevergine del 1619, alle carte 133 e segg., così scrive: «… La notte circa le sette hore s’intesero gridi et voci che dicevano foco foco onde la gente che parte nel palazzo parte nella chiesa … Corsero i padri all’orat.ni et prendendo il SS.mo Sacramento et sacre relique con lacrime uscire insino all’atrio et se vide miracolosamente il foco et fiamme che sopra il palazzo et vicino al tetto della chiesa ondeggiava, lasciando la chiesa, voltarse a modo di archo verso il palazzo …».
Fu dunque necessario sistemare di nuovo gli arredi della chiesa e le suppellettili; d. Amato Mastrullo argomenta sul nuovo Reliquiario e particolarmente dell’anno 1627, quando il padre decano del Monastero di Montevergine, Pietro Danuscio di Gesualdo, «… diede principio all’Edificio della nuova Cappella del nuovo reliquiario, con le Casette per collocarvi i Corpi Santi, posti dentro de Simolacri d’argento; e nelle due altre Affacciate Laterali, vi fe fare le Casette di fabrica, ma stuccate, quali tutte furono compite prima del Capitolo Generale, celebrato nel nostro Monasterio di Monte Vergine di Napoli nell’anno 1628 …».
Anche il cronista di metà secolo XVII, Marco De Masellis, dedica diverse pagine della sua Iconologia della Madre di Dio Maria Vergine alle reliquie di Montevergine ricordando che «… sono nella Chiesa Cattolica stimate come un Tesoro, e come beni pretiosi per l’eccellenza… onde rubarle, ò in altra Chiesa alienarle, è vietato sotto pena di scomunica …». Aggiunge poi una Digressione delle festività di alcuni santi delle reliquie conforme alla tabella della Sagrestia del sacro monastero di Montevergine per sancire meglio il giorno della loro festività presso l’abbazia; di quest’ultima fu realizzata un’iscrizione su marmo che si conserva tuttora, essendo collocata nel corridoio inferiore del santuario di Montevergine. Nel secolo XVIII Matteo Jacuzio, nel suo Brevilogio della Cronica ed Istoria dell’Insigne Santuario Reale di Montevergine del 1777, fornisce un elenco dettagliato delle reliquie, senza alcuna distinzione nella tipologia, come gli autori precedenti, in Santi, Martiri, Abbati, Vescovi etc. «… affinché possa chiunque il voglia, ad uno semplice sguardo considerarne unitamente e l’intero lor numero, e la lor venerevole pregiatezza …». Alla fine della lista viene chiarito che «… Questo Tesoro adunque di Montevergine splendidamente adorno di scelti Marmi, e di ogni speciosissimo ornamento, racchiude … le Reliquie, delle quali già molte in divise Cassette, ed in Ostensorj d’argento riposte sono; ed altre ancora racchiuse restan ne’ Simulacri d’argento de’ santi stessi …».
Attualmente la documentazione cartacea dell’archivio storico, annesso alla Biblioteca Statale di Montevergine, relativamente alle sacre reliquie, è distribuita su più faldoni, di cui particolarmente significativi quelli contrassegnati dai numeri 291-292. La serie è costituita da diverse carte sciolte e pochi fascicoli che vanno dal secolo XVI al XIX. Il primo incartamento riguarda soprattutto il santo fondatore San Guglielmo, a partire da alcune trascrizioni dell’antica Legenda, il culto presso la congregazione verginiana con la recita dell’ufficio votivo particolare, concesso dalla Sacra Congregazione dei Riti, gli inni e le orazioni per poi passare nello specifico alle reliquie, alla fabbrica della statua di san Guglielmo da posizionare nel reliquiario all’inizio del secolo XVIII, la ricognizione del corpo dopo il terremoto del 1732 presso la chiesa del SS. Salvatore al Goleto, la traslazione avvenuta nel 1807, la sistemazione a Montevergine etc.
La busta 292, partendo da una copia manoscritta del foglio 12 della Vita di San Guglielmo del Renda, circa la donazione delle sacre reliquie a Montevergine, espone notizie particolari sulla storia dei santi, di cui si venerano le spoglie, soprattutto relativamente al culto presso l’abbazia. Molto interessante un fascicolo di circa 40 carte dell’inizio del secolo XVIII che ci informa sull’ apertura delle casse di piombo in cui si conservavano le sacre reliquie. Si era, infatti, reso necessario, in seguito alla visita apostolica del cardinale Orsini, nel 1692, riporle nelle nuove cassette di rame cipro, per una più adeguata sistemazione. Il momento del passaggio dalle vecchie alle nuove, fu sancito con una cerimonia ufficiale alla presenza di un notaio apostolico nella persona dell’abate di Sant’Angelo a Scala, Domenico Antonio Manfredi, che ebbe il compito di redigerne gli atti. Affinché tutto si svolgesse in modo preciso e regolare, fu presente il superiore di Montevergine, Gallo Gallucci ed il notaio cancelliere Ludovico Giordano, di Napoli, ma residente in Mercogliano. Nella stessa busta 292 una bella riproduzione in folio del reliquiario e delle teche che contenevano le reliquie; sul verso un’annotazione manoscritta che così recita:« Antico reliquiario che trovasi nella Cappella di S. Michele fino al 1875 trasferite poi quelle ed altre reliquie nella Cappella di S. Guglielmo».
Per alcuni dei santi di cui si conservano le reliquie a Montevergine, nella documentazione dell’archivio storico, sono presenti ulteriori incartamenti che trattano della vita di diversi santi tra i quali San Modestino, San Massimo, San Barbato, San Giovanni, Santa Giuliana.
Attualmente la sistemazione delle reliquie, presso il santuario di Montevergine, si rispecchia nell’elenco della Guida storico-artistica del Santuario di Montevergine 2. ed., a cura di p. Giovanni Mongelli, in cui si specifica che esse sono distribuite in 56 grandi reliquiari, situati nella cripta di San Guglielmo e presso altri reliquiari, in alcune cappelle. Non di tutti i santi si conoscono i nomi perché alcuni vasi ne contengono le ossa polverizzate di molti, confuse insieme, ed altri, di reliquie non specificate ed inoltre i nomi, apposti su piccole parti di esse, non sono tutti leggibili.
È doveroso inoltre segnalare che si prevedono lavori di ricognizione ed adeguamento, che porteranno ad una variazione della loro sistemazione. Si vorrebbe trasferire questi sacri reperti dove erano anticamente, nella cappella delle reliquie, situata a sinistra della vecchia basilica, per rispetto della tradizione e per ripristinare tutto lo splendore di un tempo. Di tutto ciò ci informeranno i padri benedettini, al fine di poterci accostare più facilmente alla loro venerazione.